Nel superare il cancello di ferro che dall’Appia Antica conduce al centro della cavea, sembra di varcare la soglia del tempo, tornando indietro di duemila anni. Il teatro romano di Terracina, presentato ieri in conferenza stampa per annunciarne l’apertura al pubblico, è un unicum nel suo genere, incastonato in un centro storico “vivo da sempre”. Ma il teatro non può considerarsi solo un monumento di inestimabile valore, piuttosto uno scrigno colmo di ricchezze per i materiali ed i pregevoli reperti riportati alla luce e custoditi al suo interno per secoli. Testimonianze di epoche diverse, a partire dalla costruzione stimata intorno al 70 a. C., che raccontano gli anni di splendore intorno all’anno Zero, per arrivare al V secolo d.C., quando poi perse gradualmente la funzione originaria ospitando diversi utilizzi, da luogo di scambio con costruzioni annesse a cava per la produzione di calce, fino ad essere gradualmente dimenticato. Sarà il bombardamento aereo del 1943 su Terracina a farlo riaffiorare.
I REPERTI RINVENUTI
«Tra i reperti finora rinvenuti, assumono particolare significato due aree onorarie risalenti all’era augustea e dedicate agli eredi designati a comandare Roma – spiega Francesco Di Mario, archeologo direttore dello scavo di Terracina –. Augusto, che non aveva eredi maschi, adottò i nipoti Lucio e Gaio, i figli della figlia, dietro compenso, come da tradizione e ovviamente per ragioni simboliche, indicando così chi sarebbe dovuto succedere sul trono di Roma dopo la sua morte. I due giovani però morirono prematuramente, Lucio a 17 anni, durante un viaggio a Marsiglia nel 2 d. C.; Gaio, più grande di tre anni, per una ferita riportata in una battaglia nel vicino oriente nel 4 d. C.. I due giovani, nonostante la prematura scomparsa, vantavano già diversi titoli onorari quali designati consoli, introdotti nei gruppi sacerdotali e godevano degli stessi diritti dei senatori circa la partecipazione agli eventi pubblici come i posti d’onore nei teatri, anche appunto in quello di Terracina. Le due aree onorarie rinvenute nello scavo e dedicate a loro hanno quindi una datazione definita e successiva al 4 d. C.; inoltre nelle parti finali delle iscrizioni, i due giovani vengono definiti Axur Nates, ovvero patroni della città, a testimonianza del legame della famiglia imperiale con il territorio, probabilmente frequentato con una certa assiduità. Possiamo pensare quindi che Lucio e Gaio davvero siano stati qui, si siano seduti su questi posti e che a seguito della loro morte vi siano state posizionate due statue per evitare che qualcun altro li potesse occupare. Statue che speriamo di ritrovare nel proseguo delle ricerche».