Lei ha più volte parlato della necessità di un cambio di strategia. Ce la spiega?
“Mi consenta una premessa. Nella Regione Lazio una gestione dei rifiuti, di fatto, non esiste. La fotografia è rappresentata dalla drammatica carenza di impianti di trattamento e valorizzazione delle frazioni della raccolta differenziata con la Città di Roma incapace non solo di attuare un qualsivoglia piano industriale ma proprio di pensarlo. In questo contesto, le singole amministrazioni locali, per quanto virtuose nella gestione dei rifiuti, sono costrette a subire decisioni altrui per risolvere problemi altrui. In nome dell’emergenza romana c’è sempre un Sindaco di Roma o un Presidente della Regione che si sentono autorizzati ad ordinare situazioni, spesso assurde, sui territori altri. L’ultima in ordine di tempo la riapertura della discarica di Roncigliano per ricevere i rifiuti di Roma. La storia ci insegna che, nelle battaglie che vedono da una parte cittadini ed amministratori a difesa dei propri territori e dall’altra Roma con i suoi problemi, una sorta di Davide contro Golia, raramente è Davide a primeggiare. Di qui il cambio di strategia. I comuni smettano di pensare a se stessi come al centro del mondo. Interiorizzando il fatto che per quanto virtuosi, una volta raggiunti anche altissimi livelli di differenziazione del rifiuto, il ciclo è tutt’altro che chiuso. E come potrebbe in realtà di dimensioni piccole come le nostre Città castellane? E inizino, invece, a ragionare come parte di un insieme più ampio, omogeneo, sostenibile ambientalmente ed in cui l’economia circolare sia una realtà e non uno slogan”.
Sono quelli che lei definisce subambiti.
“Sì. Attualmente gli ambiti territoriali ottimali presenti nel Piano regionale dei Rifiuti non rappresentano altro che un’area geografica, coincidente con le province nello specifico. In cui si professa una sorta di buoni propositi. Ovvero che ogni ambito gestisca al proprio interno i rifiuti prodotti. Senza neanche chiarezza sulla governance di questi ambiti, la loro funzione è evidentemente nulla. Il fatto che Roma si trovi in un ambito diverso da quello della Provincia di Roma non ha certo impedito alla Raggi di fare l’ordinanza su Albano. O a Zingaretti di mandare Latina a Viterbo”.
Come immagina questi subambiti?
“Li immagino come dei distretti territoriali dai 250.000 ai 400.000 abitanti che riescano a chiudere al proprio interno il ciclo dei rifiuti, con impianti integrati e di taglie adeguate al distretto. Impianti non inquinanti che valorizzino le frazioni dei rifiuti differenziate dai cittadini creando ricchezza e sostenibilità ambientale. Pretendendo da parte degli enti sovracomunali il riconoscimento di questi subambiti, omogenei e funzionali con una governance in mano ai Comuni stessi”.
Una proposta questa che ha una valenza generale. Non limitata ai soli Castelli Romani.
“Assolutamente. Una soluzione applicabile anche a Roma. Che potrebbe essere suddivisa in distretti, il più possibile omogenei dal punto di vista urbanistico e sociale, in cui effettuare la differenziazione del rifiuto nella maniera più adeguata allo specifico contesto e sociale urbano. Distretti dotati di quella impiantistica leggera necessaria a valorizzare le frazioni separate. Pensate Roma divisa in sei distretti ognuno dei quali sia autosufficiente. Non è utopistico. Basta solo progettarlo. E volerlo”.
Al termine del convegno è stato detto che ci sarà un seguito?
“Abbiamo tirato un sasso nello stagno. A contare gli Amministratori presenti, di tutte le forze politiche, da sinistra a destra passando per il centro e le liste civiche, direi che il sasso sta disegnando tanti cerchi nell’acqua”.