Intervista a Luca Andreassi, vicesindaco di Albano e professore all’Università di Roma-Tor Vergata sulla crisi dei rifiuti di Roma e i suoi risvolti negativi sulla discarica di Albano.
Prof. Andreassi, lei ha denunciato più volte l’assenza di una politica dei rifiuti della Città di Roma, esprimendo grande preoccupazione. Si aspettava questo epilogo?
Credo fosse inevitabile. È la scontata conseguenza della totale assenza di programmazione e progettazione da parte della Sindaca Raggi da un lato e della scelta di non assumersi la responsabilità delle scelte da parte di Zingaretti e della Regione Lazio dall’altra. Roma, una città da cui oltre cento tir ogni giorno escono verso impianti in altre Regioni. E quando qualcuna di queste Regioni ha iniziato a dire basta, quando qualche impianto sul nostro territorio ha, improvvisamente, deciso di chiudere per manutenzione, quando la campagna elettorale di Roma è entrata nel vivo la situazione è prevedibilmente esplosa
Il problema dei rifiuti di Roma risale a molto prima di Virginia Raggi. Quali sono le responsabilità dei suoi predecessori e cosa invece lei poteva fare e non ha fatto ?
Era il 2011, la Polverini era Presidente della Regione Lazio, Alemanno Sindaco di Roma e Berlusconi Presidente del Consiglio quando, proprio quest’ultimo, nominò commissario per l’emergenza rifiuti a Roma il prefetto Pecoraro. Col compito “di accelerare le procedure necessarie all’individuazione di un sito per lo smaltimento dei rifiuti dell’area romana”. Esattamente ciò di cui si parla oggi. Solo che sono passati dieci anni nel frattempo. Niente di nuovo, dunque, anche se Virginia Raggi passerà alla storia come colei che più di tutti ha avuto un impatto negativo. E le sarebbe stato sufficiente aprire i cassetti ed avrebbe trovato un piano industriale di AMA a firma Fortini, con suddivisione della Capitale in distretti, attuazione di specifiche attività di differenziazione del rifiuto a seconda delle zone, di dotazione impiantistica leggera per il recupero ed il riciclo delle materie nobili differenziate. Lo avesse adottato oggi racconteremmo un’altra storia. Con un livello di differenziata che sicuramente avrebbe raggiunto quel limite del 65% previsto dalla legge.
Ed invece, la risposta della Raggi, peraltro tardiva al suo ultimo anno di mandato, è stata quella di benedire un piano industriale di AMA che mette al centro un impianto di trattamento meccanico e biologico da oltre mezzo milione di tonnellate annue. Impianto da realizzare per di più a Santa Palomba. Tecnologia bannata insieme a discariche ed inceneritori, dall’Unione europea. Impianto che non chiude il ciclo rifiuti ma che, semplicemente produce balle per termovalorizzatori e scarti per discariche. Un drammatico ritorno al passato. Ben prima del 2011.
Lei ha spesso puntato il dito anche contro l’inerzia della Regione Lazio. Il ricorso al tar della Raggi appare strumentale, ma certo forse non si doveva arrivare al commissariamento a circa due mesi dalle elezioni.
Commissariamento che dopo il diabolico ricorso al TAR della Raggi avverso la delibera di Giunta Regionale del 27 maggio scorso che le imponeva di produrre un piano industriale entro 60 giorni, pena commissariamento per l’appunto, probabilmente neanche avverrà.
Ma la Regione ben prima sarebbe dovuta intervenire utilizzando i poteri sostitutivi che gli concede la legge anziché nascondersi per 5 anni dietro ad una battaglia di retroguardia su dove posizionare la discarica. A Roma o fuori Roma. Facendo credere che se si fosse risolto questo aspetto tutti i problemi di Roma sarebbero magicamente scomparsi. Mentendo.
Il sito di Roncigliano rischia di rappresentare una spada di Damocle costante per la città di Albano e tutto il territorio dei Castelli romani?
Mi pare che la soluzione Albano sia parsa la migliore per la Raggi, giustificandola con il fatto che non ci siano zone adatte dentro Roma. Ma anche da Zingaretti, visto che come la Raggi anche lui emana un’ordinanza su Albano. E benedetta dal Ministero della Transizione Ecologica nella figura del fedelissimo ex funzionario della Raggi a Roma e oggi Direttore al Ministero Laura d’Aprile. Insomma, Albano sembrava proprio una bella idea a tutti, finché la sentenza del TAR di fine settimana che, pur autorizzando entrambe le ordinanze, apre ufficialmente una serie di questioni che rischiano di trasformare una bella furbata in un rischio enorme.
Sta forse insinuando che abbia ragione Cerroni a chiedere la riapertura di Malagrotta invece che di Albano?
Cerroni fa il suo lavoro di imprenditore e cerca le soluzioni migliori per lui. A me non interessa quello che pensa Cerroni. Certo trovo singolare che sia stato un giudice del TAR a chiedere alla Sindaca Raggi documentazione che dimostri che soluzioni a Roma non ci siano, e, in particolare, spiegazioni su perché la discarica di Testa di Cane Malagrotta, di proprietà di Cerroni, non vada bene.
Cosa si può fare per evitare che i territori che si trovano a ridosso delle grandi città, peraltro in un’ottica di città metropolitana, finiscano con il diventare il luogo in cui gli amministratori della città scaricano tutti i problemi, non dovendo rispondere democraticamente a quei cittadini?
Modelli virtuosi come quelli di Albano e dei Castelli Romani vanno protetti e lo si può fare solo garantendo a questi territori una gestione del proprio ambito. Consentendo di chiudere il ciclo dei rifiuti al loro interno, se hanno la capacità di farlo, proteggendoli da “invasioni” esterne. Si chiama governance degli ambiti territoriali ed è l’ultima, forse, occasione per la politica di fare qualcosa di davvero buono in materia rifiuti.