Per salvarlo venne tentato di tutto. La Rai seguì il caso con una diretta lunga 18 ore.
Il pozzo in cui era caduto Alfredino era profondo circa 60 metri, con un’apertura larga non più di 40 centimetri: i soccorsi furono fin da subito complicatissimi. Si cercò di calare una tavoletta di legno che però si incastrò a 24 metri. Poi si pensò di scavare due tunnel a fianco, verticale e orizzontale, per raggiungere il punto esatto della trappola infernale. Sul posto era arrivato anche l’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini.
Dopo tre giorni di disperati tentativi di salvataggio, il cuore del bambino smise di battere. Il corpo fu recuperato un mese dopo da tre squadre di minatori l’11 luglio.
In quella diretta di tre giorni fu lampante la confusione, la disorganizzazione, la pressione psicologica sui soccorritori. Nacque dunque, su impulso di Pertini, la protezione civile.
Oggi il Centro Alfredo Rampi fondato dai genitori del piccolo promuove la cultura della sicurezza, dell’educazione alla protezione da rischi ambientali, del soccorso tecnico ed emotivo nelle emergenze.
Oggi quel terreno di Vermicino è ancora lì, con un cancello pieno di fiori. Non c’è alcuna lapide che ricordi quella tragedia. Il tempo, in quel punto dell’Italia, sembra essersi fermato.
Ciascuno di quelli che hanno 50 o più anni ricorda esattamente l’apprensione di quei giorni, cosa stava facendo e con chi era.