CALPESTATA LA VOLONTÀ POPOLARE
La volontà di costituire un bacino idrico unico regionale per trasformare Acea nel leader incontrastato del settore acqua del Lazio contraddice la strada indicata dalla legge regionale n. 5 del 2014 varata dalla prima Giunta-Zingaretti (2013-2018) e rimasta lettera morta. Una legge nata – così riporta l’articolo n. 1 – “in ossequio alla volontà popolare espressa nel referendum del 2011” sull’acqua pubblica che aveva due scopi principali. Primo: individuare gli ABI – Ambiti di Bacino Idrografico basati sulle caratteristiche dei singoli territori e sulle fonti idriche attive su di essi al posto degli attuali ATO ‘disegnati’ invece attorno ai confini politico-istituzionali delle ex province e in cui Roma è libera di poter sfruttare a proprio uso e consumo le riserve idriche di Rieti e provincia, lasciando a secco cittadini, fiumi e laghi. Secondo: stabilire che “la gestione del bene acqua – così recita l’articolo 4 – deve aver luogo senza finalità lucrative e perseguire finalità di carattere sociale e ambientale”. Risultato: nell’ultimo bilancio Acea ha distribuito 125 milioni di euro ai soci, tutti soldi che vengono dalle tasche dei cittadini. Strano concetto di “l’acqua non è una merce”.
ACEA CHIEDE, CAMPIDOGLIO APPROVA
A proposito di lucro, le ‘colpe’ di aver imboccato nel settore acqua regionale una strada ‘diversa’ rispetto a quella fissata dal referendum non sono però solo della Regione Lazio, ma anche del comune di Roma, proprietario al 51% di Acea. Il Campidoglio guida la Conferenza dei sindaci di Roma e provincia, la più importante delle cinque esistenti nel Lazio perché raccoglie al suo interno i 112 comuni in cui vivono 4 dei 6 milioni di residenti del Lazio, di cui 3 milioni residenti solo a Roma-città. A novembre scorso, proprio la Conferenza dei sindaci di Roma e provincia – attualmente guidata dalla sindaca Virginia Raggi – ha approvato due novità non molto positive per gli utenti: l’aumento delle bollette per i prossimi tre anni e il via libera alla costruzione del secondo ‘potabilizzatore’ del Tevere, un impianto industriale che costerà oltre 70 milioni di euro, pagati con le bollette degli utenti, che avrà il compito di succhiare 3mila litri d’acqua al secondo dal Tevere, uno dei corsi più inquinati d’Europa, per dirottarla nei rubinetti dei cittadini di Roma e provincia. Tutto ciò, nonostante il primo ‘potabilizzatore’ – costruito alla fine del 2018 con il via libera sempre del Campidoglio – sia ancora bloccato a livello burocratico e senza che tale impianto industriale – finito e ultimato da 2 annni e mezzo ma ancora mai per fortuna entrato in funzione – sia mai stato presentato dalla Giunta Raggi alla cittadinanza ed alla stampa.
ACEA FESTEGGIA I RECORD DI PIAZZA AFFARI, MA NON RIPARA LE PERDITE
Acea è l’unica municipalizzata romana in salute, almeno a livello economico, a differenza di tutte le altre: Ama, Atac, Farmacap, etc. Ogni anno festeggia un nuovo record a Piazza Affari. Cresce, e si vanta di farlo, in tutti i “settori di investimento” e di “business”, così li definisce Gola: acqua, rifiuti ed energia, esattamente come farebbe una società privata quotata in borsa che pensa solo a fare soldi. La stampa – che fin troppo spesso accoglie le sue pubblicità a pagina intera – plaude ai suoi successi di mercato. Basti pensare agli applausi-spella-mani che gli vengono tributati ogni anno dai giornalisti (locali e nazionali) per le decine di milioni di utili che spartisce tra i propri soci, tra i quali il comune di Roma, senza rinvestire nemmeno un centesimo di quanto guadagnato. A discapito, tra le altre cose, della risistemazione della rete idrica colabrodo che a Roma e provincia continua a disperde per strada circa il 40% dell’acqua buona di sorgente immessa in conduttura, una percentuale da terzo mondo. E per il prossimo futuro Acea punta invece su quella ‘cattiva’ del Tevere, senza avere nemmeno il coraggio di raccontarlo ai cittadini e con la fortuna che le testate giornalistiche di Roma, impegnate a lodarne i risultati, non se ne accorgano.
“IL GOVERNO OMBRA DI ACEA”
“A voler essere maliziosi – attacca il Coordinamento Romano dell’Acqua Pubblica – si potrebbe pensare che tale proposta di legge (quella della costituzione del bacino unico regionale, ndr) sia un grande regalo di Regione e comune di Roma al “governo ombra” dell’acqua di Acea s.p.a. ed i suoi soci pubblici e privati. La stessa Acea che da anni adotta una politica di espansione tipica delle multinazionali, anche oltre i confini della Regione Lazio. Che tenta di comprare discariche e inceneritori in giro per l’Italia, come avvenuto a marzo 2020 con il tentativo di comprare la Unieco Ambiente. Che compra pagine di pubblicità sui grandi giornali. La stessa Acea che ha negato fino all’ultimo il suo ruolo nel disastro ambientale del Lago di Bracciano, smentita da due gradi di giudizio. La stessa Acea che stacca l’acqua per poche decine di euro di morosità (anche durante una pandemia) e spartisce dividendi per oltre 125 milioni di euro ai suoi soci. La stessa Acea che sulla rete idrica del “suo” Ato originario (quello della provincia di Roma) registra circa il 40% di perdite idriche mentre la Regione la autorizza ad aumentare lo sfruttamento di fiumi e sorgenti. Se l’ipotesi del bacino idrico unico si trasformerà in realtà, le voci delle comunità locali saranno ancora più deboli di oggi, essendo gli stessi sindaci esclusi dalle sedi decisionali sull’acqua, fatta eccezione per qualche delegato utile solo a mantenere una facciata di partecipazione. Un passo indietro epocale rispetto alla strada indicata dalla legge 5, con gestioni più piccole e vicine ai territori e con un ruolo centrale dei consigli comunali”.
ACEA SUL BANCO DEGLI IMPUTATI
Entro l’inizio di marzo, il Tribunale Superiore delle Acqua Pubbliche (che ha sede a Roma, dentro Palazzaccio sede anche della Suprema Corte di Cassazione) deciderà se le concessioni idriche utilizzate da Acea spa per attingere acqua dalle sorgenti del Peschiera e Le Capore (situate entrambe in provincia di Rieti) siano legittime o meno. A portare Acea sul banco degli imputati sono stati associazioni, comitati territoriali, il comune e la provincia di Rieti e infine il municipio di Casaprota. Tutti costoro – anche se per ragioni e finalità diverse – accusano Acea di utilizzare concessioni idriche del tutto illegittime e di prelevare troppa acqua (specie in tempi di cambiamenti climatici in cui piove e nevica sempre di meno) rispetto a quella prodotta dalle stesse sorgenti, a discapito dei cittadini, di fiumi e laghi.
REGIONE E COMUNE SENZA CORAGGIO
La legge regionale n.5 del 2014 è nata dal basso per rimettere al centro del tema acqua i territori, sulla spinta dell’attivismo di decine di sindaci, centinaia di comitati, migliaia di attivisti del Lazio. Il testo della legge è stato scritto a più mani – ricercatori universitari, addetti ai lavori, sindaci e ‘semplici’ cittadini – con lo scopo di mettere in piedi una proposta seria, che fosse realizzabile concretamente ed anche sostenibile a livello economico, per evitare che si trasformasse in un libro dei sogni. Questo intento è stata raggiunto. Ma né la Regione Lazio né tanto meno il Comune di Roma hanno mai avuto davvero il coraggio, almeno fino ad ora, di discutere seriamente di tali proposte.