Perché in Corea del Sud non c’è una seconda violenta ondata?
Vi ricordate i dati della prima ondata iniziata a gennaio? I paesi più colpiti furono quelli vicino alla Cina, ovvero Giappone e Corea del Sud, poi l’ondata arrivò in Europa, partendo proprio dall’Italia. A quasi un anno di distanza, se leggiamo i numeri dei contagiati, salta agli occhi un dato importante: per ogni 100.000 abitanti, l’Italia registra 2.010 contagiati, la Corea del Sud 57 (dati aggiornati al 16 novembre). E se vediamo i dati di altri paesi europei come Francia o Gran Bretagna, il divario con la Corea è ancora maggiore, per non parlare poi di Brasile e Stati Uniti. È chiaro che non c’entra nulla la razza, né il clima o la longitudine: quello che ha fatto e fa oggi la differenza sono le scelte dei governi e soprattutto i comportamenti della popolazione. Sicuramente influisce la cultura del rispetto verso la propria identità nazionale, sentita come un obbligo d’onore nei paesi dell’estremo oriente, con i coreani che la mascherina l’hanno indossata tutti e bene, che hanno rispettato davvero le quarantene e le distanze sociali loro imposte. Ma vincente è stata anche la scelta del governo coreano di sacrificare la privacy per salvare le vite umane e la propria economia. La Corea del Sud ha capito infatti che per bloccare la diffusione del virus doveva individuare immediatamente i positivi per bloccare la catena dei contagi. È ricorsa a sistemi di ‘big data’: con una app che i coreani, a differenza di noi italiani, hanno scaricato tutti, e con il tracciamento dei movimenti dei cittadini anche attraverso le carte di credito e ogni mezzo elettronico che lo permettesse. Chiunque avesse avuto un contatto stretto con un positivo è stato così immediatamente isolato in quarantena. La popolazione ha approvato e appoggiato queste scelte. Il risultato è che la Corea del Sud non è dovuta ricorrere a nessun lockdown e non ha in corso una seconda violenta ondata come in Europa.