Molti capannoni sono in disuso, moltissime abitazioni sono invendute eppure l'avanzata dei cementificatori non si arresta. Anzi si impenna. Lo certifica il nuovo Rapporto sul consumo di suolo 2020 realizzato dall'Ispra, l'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. Sono 288 gli ettari di terreni sui quali si è costruito durante l'anno scorso nel Lazio. 108 solo nel Comune di Roma, un'estensione pari a 200 campi da calcio. Altro territorio con consumo di suolo alle stelle è Aprilia, con oltre 10 ettari divorati da asfalto e cemento. Gli altri Comuni che superano questa soglia sono Fiumicino, Civita Castellana e Fara in Sabina.
«Nella Capitale – lamenta Legambiente – registriamo un altro sconfortante record negativo sul consumo di suolo, in una città che, poco per volta e ininterrottamente si mangia il territorio. Responsabile della nuova galoppante edilizia è la logistica con i suoi immensi hangar e l’assordante silenzio della politica urbanistica dell’amministrazione».
Non solo silenzio, ma non di rado anche chiaro e netto favore da parte dei politici. Basti pensare al caso dei 2mila ettari di pregiato Agro romano tra Ardea e Pomezia strappati al cemento grazie al vincolo chiesto dai cittadini capitanati dall'associazione Latium Vetus e imposto poi dal Ministero dei beni culturali nel novembre 2017. Una forte tutela contro la quale si erano schierate apertamente con un ricorso al Tar le due amministrazioni di Pomezia a 5Stelle, quella guidata dall’ex sindaco Fucci e poi il suo successore, Adriano Zuccalà. Quel vincolo, oltre a scongiurare una nuova spianata di capannoni a Santa Palomba, ha evitato l'arrivo di tre impianti per rifiuti, uno a Pomezia in zona Roma2 vicino il deposito petrolifero Eni e due ad Ardea vicinissimi tra loro.
Quelli del Lazio sono «dati ancor più allucinanti se si pensa alla crisi del settore immobiliare e di fronte a un continuo saldo demografico negativo», denuncia il presidente di Legambiente Lazio.