Criscuolo, dopo 60 anni di attività Discoclub ha abbassato le serrande. Come avete vissuto questo passaggio e quali sono gli aneddoti che vi legano a una città che nel corso degli anni ha mutato il proprio assetto?
«Sicuramente si tratta di un momento particolare, anche se la chiusura dell’attività ha fatto segnare numerose testimonianze di affetto da parte di molti cittadini. La musica è sempre stata un’esigenza antropologica dell’essere umano, nello scorso secolo ascoltare un 45 giri rappresentava un’evasione per molti giovani ma anche un arricchimento culturale. Gli aneddoti sarebbero numerosi, diciamo che sono sempre legati da un filo romantico, perché la musica ha legato mio padre e mia madre, che poi intrapresero insieme l’attività. Mio padre corteggiava mamma attraverso le migliori collezioni degli anni’60, poi ricordo che a fine anni ’70 Peppe fu un pioniere nel portare ad Anzio la musica reggae. La sua passione lo aveva spinto a rifornirsi nei migliori centri dell’industria musicale a Bologna e in altre città e quindi molti ragazzi anziati scoprirono le nuove tendenze musicali grazie alla sua caparbietà. Il consumo di musica è rimasto nel corso degli anni con la differenza sostanziale che la musica non si acquista più, anche se a noi rimane l’orgoglio di aver contribuito a una crescita culturale e di aver sempre privilegiato l’aspetto umano prima della logica commerciale».
È rimasto colpito dalla reazione delle persone?
«Siamo stati travolti da un’ondata di affetto, da questo punto di vista il social network è stato un termometro ideale, questo a conferma che le persone sanno riconoscere alcuni valori e che nel corso degli anni siamo stati in grado di instaurare un rapporto di piena fiducia con i nostri clienti. Ritengo che questo sia stato il nostro punto di forza, ovvero riuscire a calamitare l’attenzione dell’appassionato di musica riuscendo a stabilire un contatto diretto. Mio padre in questo era molto carismatico, addirittura ti prestava il disco per fartelo ascoltare senza pretenderne la vendita, ti consigliava spesso lavori musicali in anteprima e riusciva a vendere numerose copie persino di generi inusuali come la fusion. In questo modo si creava grande empatia tra cliente e venditore e credo che questo filo diretto è rimasto nel tempo, non a caso abbiamo ricevuto migliaia di attestati di stima e di affetto».
Il sindaco di Anzio individua nei colossi come Amazon e nel cambio del commercio la chiave per spiegare la ragioni della crisi della piccola impresa
«Mi sarebbe piaciuto senza dubbio se il sindaco oltre a questa analisi avesse espresso parole di apprezzamento per il lavoro svolto negli anni da queste attività, per quanto concerne le radici della crisi sicuramente il commercio ha mutato il suo volto a livello nazionale ma rimane il fatto che a livello locale si può intervenire con alcune misure per favorire la crescita dell’impresa. Sono consapevole che per un’amministrazione comunale le risorse non sono infinite, ma è altrettanto indiscutibile che si possono usare meglio i proventi delle tassazioni. A tal proposito mi fa piacere menzionare l’esempio illuminato del comune di Lanuvio, dove l’amministrazione ha varato un regolamento per la promozione dell’economia locale mediante la riapertura e l’ampliamento di attività commerciali. Un programma mirato con alcuni punti fermi che sicuramente contribuiranno a creare una buona sinergia fra piccoli imprenditori e classe politica, a dimostrazione che in alcuni casi si può operare in modo positivo».
Crisi del commercio locale. In sintesi, quali a suo avviso i motivi della recessione e le possibili soluzioni per uscirne fuori?
«Per quanto concerne le motivazioni sono diverse, sicuramente pensando al modello Anzio non si può negare che le attività commerciali hanno investito poco e non hanno saputo rinnovarsi. Si tratta di un mea culpa che va fatto da parte di molti, poi sicuramente ci sono altre cause come lo scarso sostegno della classe politica e il sorgere dei grandi commerciali, spuntati a qualsiasi latitudine, che hanno inferto un colpo mortale alla piccola e media impresa. Infine c’è da considerare il notevole aumento demografico della nostra città che ha completamente mutato il suo volto, inevitabilmente si è verificata una diversificazione dell’offerta con una concorrenza spietata in alcune zone sovraffollate. Le soluzioni le ho accennate in precedenza, basterebbe una maggiore lungimiranza della classe politica con iniziative mirate al sostegno del commercio».
Il centro storico anziate è finito di nuovo al centro del dibattito politico a causa dell’annosa questione dell’eventuale apertura al traffico. Quale è la sua posizione in merito?
«Credo si tratti di un falso problema, da sempre i commercianti si dividono su questo tema ignorando le priorità, a partire da un necessario rinnovamento delle attività commerciali. Discoclub è l’esempio emblematico di come la riapertura al traffico non è la soluzione adeguata, noi potevamo sfruttare la circolazione delle automobili ma intanto il mondo intorno cambiava. Credo che prima di tutto il commercio guadagnerebbe prestigio se si puntasse su una maggiore caratterizzazione, in pieno centro abbiamo visto spuntare attività senza criteri logici. Il nostro punto di forza è sempre stata la gastronomia, contraddistinta dalla qualità del pescato locale, quindi non credo sia errato mettere in risalto questa caratteristica. Si tratta di tipicità che fanno la differenza e attirano turisti da ogni zona d’Italia».