Dalle polemiche sui social network a un’inchiesta della Procura con l’accusa di diffamazione il passo è spesso brevissimo. Accade così che sul caso del vigile urbano che ad ottobre ha bloccato in piazza del Popolo gli alpini, contestando alle penne nere impegnate nel decennale della grande adunata del 2009 di aver dato vita a un corteo senza aver chiesto la necessaria autorizzazione, è stata aperta un’indagine. Diffuso sulla Rete il video in cui il casco bianco chiedeva spiegazioni agli alpini, che sfilavano con tanto di banda, sui social erano iniziati subito a piovere insulti alla polizia locale. I vigili urbani hanno depositato in Procura tre informative di reato sul corteo non autorizzato, ma hanno presentato, per quei commenti offensivi sui social network appunto, anche una denuncia per la lesione subita al prestigio del corpo. Abbastanza per portare la polizia postale di Latina a indagare e il sostituto procuratore Martina Taglione ad aprire un fascicolo. Circa venti persone rischiano ora di dover rispondere di diffamazione. Manca soltanto la loro piena identificazione. E per questo la Postale dovrà chiedere a Facebook notizie esatte sui profili degli autori degli insulti. Un aspetto quest’ultimo che rende arduo il lavoro degli inquirenti. Senza la certezza che a un determinato nome di un profilo corrisponda una certa persona non si può arrivare a un processo e il colosso americano solitamente rifiuta tali informazioni, anche se chieste da un magistrato, non considerando negli Usa commenti anche diffamatori qualcosa di punibile. Per venti cosiddetti leoni da tastiera, dopo aver rovesciato vari insulti sulla polizia locale, iniziano comunque diversi guai.
18/01/2020