CHI CONTROLLAVA E CHI CONTROLLA?
Non è esagerato dire che questo ricorso fa paura. Predisposto e firmato dagli avvocati Stefano Rossi e Caterina Paone, lamenta una sfilza impressionante di obblighi che non sarebbero mai stati osservati dai gestori privati del sito. Obblighi imposti dalle leggi e dalla stessa Regione Lazio quando autorizzò l’impianto TMB per il trattamento meccanico cosiddetto biologico dell’indifferenziato – da cui tirar fuori balle da bruciare negli inceneritori – con annesso 7° invaso dove seppellire gli scarti dei rifiuti. Il ricorso suona soprattutto come durissimo atto d’accusa nei confronti della Direzione regionale politiche ambientali e ciclo dei rifiuti. Cioè l’ufficio diretto dall’ing. Flaminia Tosini, che è pure vicesindaco e assessore all’ambiente a Vetralla in quota PD. Le mancate attività che il privato non avrebbe mai svolto riguardano la sicurezza, l’ambiente e la salute pubblica, analisi, controlli, monitoraggi, informazioni agli Enti. E la prevenzione degli incendi… Su questo punto torniamo fra poco. Una sfilza di precisi obblighi previsti dall’AIA, autorizzazione integrata ambientale che il 13 agosto 2009 approvò TMB e 7° invaso. Cioè la patente per l’ecomostro dichiarata definitivamente scaduta lo scorso agosto e riesumata a tavolino, senza consultare nessun altro Ente coinvolto, dall’ing. Tosini della Regione Lazio a fine ottobre.
NUOVE NORME ANTINCENDIO IGNORATE
Torniamo alle fiamme: spuntano due agghiaccianti novità. “Ad oggi non eÌ€ dato sapere se l’impianto fosse dotato di un certificato di prevenzione incendi e quindi dei sistemi sopra citati”. Così si legge nel ricorso. Ma c’è di più e di peggio. La strana proroga “fai da te” non prevede l’aggiornamento dei criteri antincendio e di sicurezza imposti nel 2015 dalla nuova normativa con regole più precise e stringenti, approvate dopo la tragedia della ThyssenKrupp, che puntano a difendere la salute dei cittadini, la sicurezza dei lavoratori e l’ambiente. Ma il nuovo ok regionale “non prende in alcuna considerazione neÌ daÌ€ conto di alcuna attivitaÌ€ nei confronti degli enti competenti – denuncia il ricorso – neÌ menziona alcuna attivitaÌ€ svolta dai soggetti gestori per conformare l’impianto agli stringenti obblighi previsti dal d.lgs. n. 105/2015 attuativo della direttiva europea 2012/18/UE (c.d. Seveso III)”.
GLI INCENDI E LA ECOMAFIE
Nel 2015 la stessa Regione aveva deciso che bisognava riesaminare l’autorizzazione del 2009 “sulla base delle inadempienze e criticitaÌ€ evidenziate da Arpa Lazio”. Il riesame non c’è stato. Anzi, adesso la Regione ritiene che il sito può ripartire, senza alcuna verifica dei luoghi e della reale situazione. Le Procure di Roma e Velletri stanno ancora indagando sulla inquietante catena di roghi agli impianti per rifiuti, compreso quello di Albano. Appare chiaro a tutti il filo conduttore: condizionare gli amministratori pubblici e bloccare il ‘sistema’ dei rifiuti di Roma e dintorni così da poter continuare a comandare nel settore. Se n’è occupata persino la Commissione parlamentare Ecomafie. Sul disastro incendiario dell’Eco X, se non altro, un processino al prestanome del boss è scattato. Sull’incendio di Roncigliano tutto appare sommerso. E la Regione decide di far riaprire il sito come “cassonetto” della Capitale.
«ANCORA RIFIUTI SPECIALI SENZA ANTINCENDIO? NO!»
Non solo determinati, ma anche preparati appaiono i cittadini. «Tra i rifiuti ammessi nel sito ci sono pure pneumatici, batterie esauste anche dei veicoli, farmaci, vernici, inchiostri, detergenti eccetera – spiegano –. Sono materiali molto infiammabili che nell’impianto finiscono per miscelarsi in modo anomalo e imprevedibile, con il rischio di andare a fuoco. E ora la strana proroga dell’ingegnera Tosini non è aggiornata proprio in materia di antincendio e sicurezza!». Sbigottiti anche i legali dei cittadini: «Forse in Regione non hanno studiato bene le norme in materia, che dal 2009 ad oggi sono cambiate in modo drastico – affermano gli avvocati Rossi e Paone -. Esattamente come cambiano le tecnologie dei telefonini o delle auto, cambia, si evolve e migliora anche la legge. Un cellulare del 2009, ad usarlo oggi, sembrerebbe un attrezzo del Medioevo. La Seveso III prevede criteri per la gestione delle aziende che trattano materiale infiammabile, come quello che vogliono mettere in funzione, particolarmente rigidi, per scongiurare sul nascere roghi o rischi per la sicurezza».
CAMBIALE POLITICA?
«Ma ci rendiamo conto? – tuonano i cittadini – Come è possibile dopo il disastroso rogo di Roncigliano, dai contorni ancora mai chiariti, con la sua nube che ha girato per giorni sul Lazio? Ma in Regione l’assessore ai rifiuti, Massimiliano Valeriani, e il presidente della commissione rifiuti, Marco Cacciatore, stanno dormendo? Perché non intervengono subito e non chiedono di sospendere questa strana proroga in attesa della decisione dei giudici?». Muta anche l’assessore regionale all’ambiente, Enrica Onorati. I politici no, ma in attesa della sentenza i cittadini nel loro ricorso chiedono anche di sospendere il provvedimento regionale. Poiché “idoneo a produrre effetti irreversibili tali da determinare un danno grave ed irreparabile”. Dopo la pubblicazione delle foto del cantiere in allestimento e del 7° invaso-palude di percolato – riprese da altri organi di stampa – sulla scorsa edizione del Caffè, l’allarme è salito. 7 dicembre manifestazione in piazza San Pietro, ad Albano. In un nuovo sopralluogo, abbiamo fotografato il sito: cancelli aperti, mezzi d’opera a lavoro e invaso ancora più allagato senza alcuna protezione visibile.
BOX: 40 DI DISCARICA: PIÙ MORTI E MALATI
L’immondezzaio di Roncigliano nasce abusivamente nel 1979, tra le vie Nettunense e Ardeatina, a due passi da Ardea, Pomezia e Aprilia est. Là intornosi muore e ci si ammala di più che nel resto della Regione. Lo attesta lo studio Eras Lazio, finanziato dalla Regione e mai più ripetuto… Le preziose falde idriche sono state letteralmente massacrate con 15 casi accertati di inquinamento da composti inorganici: arsenico, piombo, alluminio, fluoruri ecc. Il sito, abbandonato dal 30/6/2016, è stato ri-autorizzato senza ascoltare i comuni interessati, Albano, Ardea e Pomezia, la Città Metropolitana di Roma, né la Asl Roma 6, l’Agenzia Regionale di Protezione Ambientale né cittadini, associazioni e comitati che da anni si battono per la chiusura definitiva e bonifica del sito. I primi di novembre abbiamo chiesto lumi agli assessori regionali ai rifiuti e all’ambiente e agricoltura, Valeriani e Onorati. Nessuna risposta.
Daniele Castri e Francesco Buda