A dispetto delle promesse elettorali la trasparenza è ancora un miraggio nella Regione Lazio, almeno nel settore stampa. Approfittando anche della crisi dell’editoria, si continua ad allungare difatti l’elenco dei cronisti che finiscono sul grande (e introvabile) libro-paga della politica, tutti compensati ,naturalmente, con i soldi pubblici. Di rado questi redattori vengono assunti con contratti a tempo indeterminato, molto più spesso con contratti a termine, quindi a tempo determinato, il cui destino è legato indissolubilmente e irreversibilmente al politico che li ha chiamati e alla scadenza del suo mandato elettorale. Molti di questi professionisti dell’informazione si muovono su un doppio binario. Da una parte svolgono la funzione di addetti stampa, preparando e diffondendo i comunicati stampa, facendo da ‘spin doctor’ sui social e curando a 360 gradi la comunicazione del loro capo e/o gruppo politico. Dall’altra continuano a lavorare come liberi professionisti per varie testate giornalistiche. Per carità, entrambe le funzioni svolte sono più che legittime e dignitose. Ma qualche dubbio può venire se vengono svolte contemporaneamente. Ancor più se questa sovrapposizione di funzioni viene ‘nascosta’ accuratamente o quantomeno non resa trasparente.
UN GIORNALISTA ‘AL SOLDO’ PUÒ ESSERE ANCHE INDIPENDENTE?
Questa, è giusto chiarire, non è né vuole essere una crociata contro i giornalisti, che hanno il sacrosanto diritto di rappresentare un politico se e come vogliono, al pari di un avvocato o un commercialista. Né, tantomeno, una battaglia contro gli uffici stampa: anche i politici hanno il diritto di avere uno o più portavoce e addetti stampa pagati coi soldi pubblici. Quello che si contesta è la mancanza assoluta e totale di trasparenza. I cittadini hanno il diritto di sapere chi sono, quale curriculum hanno e quanto guadagnano i giornalisti al servizio della politica regionale, così da potersi fare una opinione se un giornalista è davvero libero e indipendente: un principio di trasparenza sacrosanto. Eppure, sul sito istituzionale della Regione Lazio non siamo riusciti a trovare queste informazioni. E ci siamo dovuti rivolgere ad altre fonti. Si tratta, quasi sempre, di giornalisti che per racimolare uno stipendio dignitoso sono costretti al doppio lavoro: libero professionista alla luce del sole, megafono del ‘potente’ nell’ombra. A volte, invece, più semplicemente di arrivisti che svolgono con consapevolezza e senza scrupoli etici tale doppia veste, magari nella speranza di compiacere il politico e ottenere vantaggi personali. A ben vedere, quindi, rischia di essere calpestato non solo il principio della trasparenza, ma anche quelli dell’informazione libera e indipendente e dell’etica professionale di tutta la categoria.
LA SITUAZIONE IN GIUNTA E CONSIGLIO REGIONALE
La Giunta regionale, guidata dal governatore Nicola Zingaretti, affida (almeno formalmente) tutta la sua comunicazione a 9 persone. Tutti dipendenti a contratto determinato, tra i quali figura il responsabile dell’Ufficio, Emanuele Lanfranchi: l’unico per cui è possibile consultare il curriculum e lo stipendio: 115mila euro l’anno. Ignoto il profilo degli altri 8 colleghi. Si tratta di una mancanza grave, visto che non tutti svolgono necessariamente il lavoro di giornalisti: tra loro potrebbe lavorare anche personale amministrativo con altre competenze e funzioni. Il Consiglio regionale si affida invece a 8 dipendenti a tempo indeterminato, 7 in categoria D ed uno, il responsabile, in categoria C. Per nessuno di loro è disponibile il curriculum e il relativo compenso. Poi c’è l’Ufficio Social media, alle dirette dipendenze del Gabinetto della Giunta regionale, composto da altre 3 unità a tempo determinato, tutte quindi alle dipendenze dirette dei politici. Il responsabile dell’Ufficio, che guadagna 90mila euro l’anno (ma senza curriculum), e altri due dipendenti di cui non si conoscono curriculum e stipendio. Poi ci sono i portavoce, assunti ad ‘uso e consumo’ dei politici di vertice, in numero e con stipendio sconosciuto.
I GIORNALISTI ‘FANTASMI’
A queste prime quattro categorie di giornalisti se ne aggiunge poi un’altra, che potremmo definire quella dei giornalisti-fantasma, che lavorano al servizio diretto dei singoli gruppi politici presenti in Consiglio o anche per il solo capogruppo o per il singolo consigliere. Vengono pagati sempre con soldi pubblici: il loro stipendio quindi grava sull’Ente regionale. Si tratta dei giornalisti assunti con contratto a tempo determinato come ‘membro staff’. Il numero di questi cronisti, di cui non si conosce curriculum e stipendio, è sconosciuto.
I GIORNALISTI ‘SOTTO BANCO’
Ai ‘giornalisti fantasma’, si aggiungono poi quelli che lavorano “sotto banco”, così ci racconta una autorevole fonte che preferisce non comparire. Si tratta di personale di ruolo, quindi a tempo determinato, che non rientra tra quello assunto come staff, ma tra i dipendenti a diretta collaborazione della politica, dei politici, della Giunta e/o singoli consiglieri o magari dell’ufficio di Gabinetto. Un “numero abnorme – ci racconta la nostra fonte – assunti anche in deroga a leggi nazionali e che lavorano negli Uffici regionali sotto copertura, a chiamata diretta del politicante. Non si può sapere chi sono né quanti sono – ci conferma la fonte – magari non sono assunti come giornalisti, ma con altra veste, però lavorano sempre in Regione nel settore della comunicazione e vengono pagati sempre e comunque con soldi pubblici”.
ENTI E SOCIETÀ REGIONALI, ASL E PARCHI
Ma non basta. C’è ancora l’esercito dei giornalisti assunti nei vari Enti e società regionali, tra i quali ad esempio Asl e Parchi, il cui bilancio grava sempre e comunque sui conti regionali e quindi sulle spalle dei cittadini. Raramente viene reso pubblico il nome dei vari giornalisti, addetti stampa e comunicatori, praticamente mai lo stipendio.
QUALCHE DOMANDA PER L’ASSESSORE
Nel Lazio, insomma, c’è tanto bisogno di trasparenza soprattutto nel settore stampa. A tal proposito, volevamo chiedere una intervista all’assessore allo Sviluppo Economico del Lazio e fedelissimo del governatore, Gian Paolo Manzella, che si occupa anche del settore stampa, ma Manzella è stato chiamato a fare il Viceministro del Governo Conte-bis, sempre per lo stesso settore. Evidentemente un premio alle sue capacità di raggiungere gli obiettivi.
L’EDITORIALE
di Stefano Carugno
Attenti alle date: la Costituzione italiana è entrata in vigore il 1° gennaio 1948; la legge sulla stampa, ancora oggi in vigore, è dell’8 febbraio 1948. Solo 38 giorni dopo. E quei 38 giorni hanno fatto una enorme differenza: hanno decretato il ritorno alla “libertà di stampa” e sancito la morte della “stampa libera”. Fateci caso, nella Costituzione italiana non c’è un articolo che disciplina la stampa. Eppure era chiaro, allora come oggi, che il tema della ‘propaganda’, del controllo dei politici sull’informazione era il tema cruciale per uno stato democratico che stava appena nascendo. Bastava guardare a quanto appena accaduto in Germania e nella stessa Italia. La storia non scritta, ma narrata, racconta che il ritardo con cui fu approvata la Costituzione fu dovuto anche e soprattutto al dibattito sull’articolo che doveva riguardare la stampa. E non se ne venne a capo. Infatti la Costituzione fu varata senza quell’articolo, scorporato e inserito in una apposita legge promulgata appunto 38 giorni dopo. Una legge che prevede persino il carcere per i giornalisti (unico paese occidentale). Una legge che non poteva stare nella nostra bella, liberale e democratica Costituzione: l’avrebbe macchiata. La storia del giornalismo italiano, dal dopoguerra ad oggi, è una storia fatta di editori compiacenti coi potenti di turno, ma fortunatamente anche di tanti giornalisti che non si sono adeguati alla massa, che hanno scritto pagine epiche di libertà intellettuale e indipendenza morale. Ma questi ‘eroi’ hanno appunto dovuto operare in contrapposizione alla cultura dell’informazione predominante, asservita solo alle diverse parti ideologiche: informazione di parte contro informazione di parte, così il cittadino può liberamente scegliere da chi farsi strumentalizzare. Un’illusione di libertà di pensiero. E l’indipendenza? E la stampa come “Cane da guardia della democrazia”? La verità e che io, giornalista, oggi non posso alzarmi la mattina e decidere di scrivere tutta la verità, la Legge non lo permette.