SENZA STRADE, MARCIAPIEDI, SCUOLE E PARCHI
Il Piano di Monte Stallonara sorge su una superficie complessiva di circa 40 ettari. Dal 2007 si è iniziato a buttare cemento: sono stati tirati su circa 30 palazzi ancora privi delle opere di urbanizzazione che dovrebbero rendere vivibile il nuovo insediamento urbano: scuole, parcheggi, parchi pubblici, parcheggi, etc. Tutto rimasto sulla carta. Fognature, acqua, gas ed elettricità sono stati completati, anche se con anni di ritardo. Ma a Monte Stallonara, oltre a buona parte dell’illuminazione pubblica, continuano a non esserci nemmeno strade e marciapiedi, che non posso essere realizzati se non si risolve prima il problema delle fogne “chiare” e cioè dello sversamento delle acque meteoriche. Già, perché quando piove in quell’area si verificano spesso allagamenti. E proprio di questo si è discusso in Commissione e su cui – così è in grado di confermare il Caffè di Roma – la Procura ha aperto un nuovo fascicolo di indagine.
CHI PAGHERÀ 1,5 MLN DI EURO?
In relazione a quegli strani e continui allagamenti bisogna tenere presenti le peripezie del progetto delle vasche di laminazione, ovvero dei vasconi in cui far confluire le acqua piovane. I rimpalli di responsabilità tra costruttori, consorzi e comune durano 6 anni. Ma il problema in realtà è un altro: chi pagherà per un’opera che arriverà a costare oltre un milione e mezzo di euro non prevista inizialmente? Il Consorzio dei costruttori, tramite l’intervento in Commissione di Gianfranco Casale, presidente di una delle tante coop del Consorzio, ha dichiarato: “Si tratta di somme che non erano comprese negli oneri di urbanizzazione previsti per gli attuali operatori (cioè i costruttori)” . E in effetti a dire la stessa cosa è lo stesso Dipartimento di programmazione e attuazione urbanistica (Pau) del Campidoglio, per la precisione in una missiva inviata al Consorzio lo scorso agosto in cui si legge che “deve essere ancora valutata la copertura finanziaria” dell’opera. La verità è che i soldi sono finiti: “Il Pau – continua Casale – non fornendo nuove concessioni su Monte Stallonara, nemmeno in sostituzione degli operatori rinunciatari o espulsi, e né prorogando quelle per gli operatori richiedenti, determina una ovvia carenza di risorse economiche anche per le ultime opere di urbanizzazione rimaste”. Insomma, un bel pasticcio. E la luce in fondo al tunnel sembra lontana.
IL DOPPIO FILONE DI INDAGINI E IL PROCESSO
Sicuramente il Piano di Zona B50, così si chiama tecnicamente la lottizzazione di Monte Stallonara, è uno dei più difficili dei 125 programmi costruttivi nati per offrire una casa a canone e prezzi calmierati a chi non può accedere né ad una vera e propria casa popolare né al mercato delle abitazioni. Si parla, appunto, di edilizia residenziale pubblica (erp), per la precisione di quella agevolata e convenzionata. Case costruite su terreni espropriati a privati e concessi ad imprese e cooperative che in cambio, grazie anche all’ottenimento di contributi regionali a fondo perduto e di un mutuo agevolato dalle banche, avrebbero poi dovuto realizzare le opere di urbanizzazione primaria e secondaria (riunendosi in consorzi di urbanizzazione) e vendere gli appartamenti a prezzi più bassi agli inquilini che in molti casi diventano soci delle cooperative, con annesso frazionamento del mutuo. Ma a Monte Stallonara qualcosa è andato storto. Da edifici che potrebbero essere stati costruiti su una montagna di rifiuti, fino a case vendute a prezzi più alti di quelli stabiliti dalla legge. Aspetti al centro di un doppio filone d’indagine aperto dalla Procura di Roma, con annessi rinvii a giudizio, che riguarda tre palazzine e tre coop, ma che potrebbe estendere il suo raggio d’azione.
Quelle truffe… nella terra dei fuochi romana
Lo scorso agosto a Monte Stallonara è divampato un vasto incendio. Ma dopo lo spegnimento, il terreno ha continuato a fumare per diversi giorni: erano tutti rifiuti di ogni tipo che continuavano a bruciare. Qui gli abitanti la chiamano la “Terra dei fuochi romana”. Eppure che lì c’era una ex cava adibita a discarica abusiva si sapeva sin dal 2005, quando sono state svolte le prime indagini geologiche. Così il progetto è stato spostato su un lotto adiacente, con il benestare da parte della Regione, ma a patto che si bonificasse l’area e che non si costruisse dove non erano stati fatti i carotaggi. Cosa che non è avvenuta, almeno secondo l’accusa della Procura di Roma. Già, perché nel 2015, mentre si stava scavando per le fognature, sono stati rinvenuti rifiuti di ogni tipo anche sul nuovo terreno, dove ora ci sono tre palazzi. Intanto due anni fa, l’ex procuratore capo Pignatone aveva scritto alla sindaca Raggi, chiedendo nuove indagini del suolo di cui ancora non c’è traccia. Nel frattempo nelle le tre palazzine in via Decimomannu al centro dell’inchiesta si stanno verificando i primi cedimenti strutturali. Appartamenti che peraltro – è l’altro filone d’indagine – sono stati venduti a cifre più alte rispetto a prezzi massimi previsti dalla Regione, la quale ha erogato dei contributi pubblici che, grazie a vendite dissimulate da patti di futura vendita, potrebbero essere stati intascati in larga parte dalle tre coop indagate. Truffa aggravata è la principale ipotesi di reato.