PORTA A PORTA: IL FALLIMENTO DI COSTA E RAGGI
Oggi al dicastero dell’Ambiente c’è il grillino Sergio Costa, generale dei Carabinieri di origini partenopee, in Regione il principale partner del governo giallorosso, Nicola Zingaretti, e alla Capitale il M5s. Eppure il Porta a porta, la modalità di raccolta domiciliare dei rifiuti, ma soprattutto l’unica vera alternativa al business mortale delle discariche e degli inceneritori, anziché aumentare diminuisce.
OGNI 6 GIORNI UN COLOSSEO PIENO DI SPAZZATURA
Di pari passo, la produzione di rifiuti indifferenziati anziché diminuire aumenta: ancora oggi si producono in media 2.906 tonnellate al giorno di rifiuti non differenziati: una quantità così ingente che sarebbe sufficiente a riempire tutto il Colosseo con sacchetti di spazzatura in soli 6 giorni. Questi dati costituiscono non solo un evidente voltafaccia politico, ma ancora prima una violazione di un preciso obbligo previsto da leggi europee e nazionali, che impongono una percentuale minima di Porta a porta del 65%. Mentre Roma – così dicono dati ufficiali mai verificati da enti indipendenti – si attesterebbe intorno al 40%, probabilmente molto meno. Per evitare che Roma venga sommersa dai sacchetti di spazzatura in strada, la Giunta Raggi è costretta quindi ad elemosinare aiuto da altre regioni (Abruzzo e Marche) e nazioni (al vaglio l’opzioni Ucraina e Bulgaria) con costi ambientali ed economici per il trasporti dei rifiuti, a carico dei cittadini, sempre più alti. Ma soprattutto con una ulteriore e grave forzatura di leggi europee e nazionali che impongono il ‘principio di prossimità’: vale a dire che la spazzatura va smaltita quanto più vicino al luogo in cui viene prodotta. Dalla chiusura di Malagrotta (2013) l’Urbe è priva difatti di una propria discarica.
I CENTRI DEI RIFIUTI BRUCIANO, CHI SONO I MANDANTI?
Un problema politico, giuridico, ambientale ed igienico-sanitario, quello legato al Porta a porta e al trasferimento dei rifiuti indifferenziati in altre regioni e nazioni, a cui se ne aggiunge un altro di non poco conto. Negli ultimi anni, i (pochi) centri di trattamento dedicati ai rifiuti indifferenziati di Roma e dintorni, proprio quelli che alla Capitale servono come il pane, hanno cominciato a prendere fuoco uno dopo l’altro. Le fiamme hanno travolto di recente anche i siti pubblici di Ama-Salario ed Ama-Rocca Cencia. Il sistema Giustizia, guidato dal Ministro pentastellato Alfonso Bonafede, appare incapace sia di difendere i pochi centri ancora in funzione sia di portare alla sbarra, con indagini e processi adeguati, gli eventuali mandanti ed esecutori dei roghi.
SIGNORI DEI RIFUTI IN PRESSING SU ZINGARETTI E RAGGI
A ben vedere, una costante in questo grande caos dei rifiuti di Roma c’è. I signori del settore, che gestiscono l’80% della spazzatura di Roma, continuano a tenere in pugno gli amministratori pubblici e a fare affari meglio e più di prima. Non è forse un caso che il Gruppo Cerroni, tra i più rilevanti del settore, abbia chiesto a luglio scorso a Regione e Campidoglio di riattivare velocemente un grosso TMB, ovvero un centro di Trattamento Meccanico Biologico, che è un impianto industriale dentro cui viene spedita la spazzatura indifferenziata prima di essere seppellita in discarica o incenerita in un inceneritore. Proprio il genere di impianto di cui Roma ora ha maledettamente bisogno. Si tratta, in particolare, dell’impianto TMB di Albano, alle porte di Roma, andato misteriosamente in fiamme, sì anche lui, nel 2016. Proprio in questi giorni, il Gruppo industriale della Rida Ambiente di Aprilia ha ottenuto dalla Regione una sorta di pre-autorizzazione all’avvio di un progetto che prevede la costruzione di una mega-discarica per rifiuti indifferenziati. Il progetto risale al 2016, era morto e sepolto, ma ora è stato improvvisamente e inspiegabilmente resuscitato. Si tratta dello stesso Gruppo imprenditoriale accusato di recente dal Campidoglio di rispettare, ma solo parzialmente, l’ordinanza regionale che gli impone di ricevere più spazzatura indifferenziata di Roma.
AMA FUORI CONTROLLO
Per finire, Ama appare fuori controllo. Lo conferma a il Caffè di Roma, in una intervista esclusiva, l’ormai ex Amministratore Delegato della municipalizzata dei rifiuti dell’Urbe, il commercialista Paolo Longoni. ‘Dimissionato’ nei giorni scorsi dalla sindaca Raggi insieme al resto del Consiglio di Amministrazione, la presidente, Luisa Melara, e il consigliere, Massimo Ranieri, dopo appena 3 mesi di mandato. Longoni è un signore, nei modi e nelle parole. La sua intervista, sempre misurata nei toni, va necessariamente messa in relazione alle ultime affermazioni che ha rilasciato nel corso della seduta della Commissione capitolina Trasparenza del 3 settembre. Leggendo tra le righe, Longoni ci racconta quello che gli addetti ai lavori sanno bene e da tempo. L’Ama è senza risorse economiche, strozzata dai debiti bancari pari a 170 milioni di euro da pagare entro il 31 dicembre 2021. Travolta da una svalutazione economica dal valore di 100 milioni di euro in soli 12 mesi. Incapace di approvare i bilanci 2017, 2018 e il primo semestrale del 2019: le banche hanno quindi chiuso i rubinetti impedendo all’azienda di assumere personale, di rinnovare mezzi e sedi e di costruire nuovi centri di trattamento e stoccaggio dei rifiuti. Soggiogata dai signori dei rifiuti che ambiscono a mettere unghie e denti sulla parte restante della gestione dei rifiuti ancora in mano pubblica. Ma soprattutto senza una strategia a breve-medio e lungo termine che le consenta di incrementare il Porta a porta. Ed ora chi vuol capire capisca. L’azienda è stata consegnata dalla Raggi nelle mani del nuovo Amministratore Unico, Stefano Zaghis.
INTERVISTA ESCLUSIVA
L’ex Ad di Ama, Paolo Longoni si confida a Il Caffè
Nel corso delle sedute della Commissione Trasparenza a cui è stato invitato ha descritto nel dettaglio lo stato del settore rifiuti della Capitale e, in particolare, di Ama: pensa che la sua trasparenza e chiarezza possano essere stata tra le possibili cause delle frizioni con il Campidoglio?
«Può darsi che parlare chiaro ed esporre in dettaglio le questioni non sia in sintonia con le modalità della politica. Ma non so fare diversamente. Se questo abbia contribuito a creare le frizioni di cui parla, non lo so. Bisognerebbe chiederlo ad altri, non a me».
Quali sono, a suo avviso, i principali problemi economici, strutturali e logistici di Ama?
«Domanda che richiederebbe un trattato… provo a sintetizzare: risorse per gli investimenti di ammodernamento dei mezzi e degli impianti, che mancano; rinnovo della struttura operativa, con forze nuove e fresche; individuazione di siti di trasferenza che migliorino la logistica dei trasporti; almeno 250 nuovi dipendenti per svolgere i servizi che oggi sono appaltati all’esterno e non danno buoni risultati; e tanto altro».
Quali sono, a suo avviso, i principali problemi del settore rifiuti della Capitale?
«Roma riesce a trattare con i propri impianti poco più del 20% dei rifiuti raccolti. La dipendenza dagli impianti privati e la carenza grave di impianti di destino (discariche e termovalorizzatori) rendono il ciclo dei rifiuti esposto a rischio di crisi continua».
C’era e c’è un modo per evitare che deflagri la crisi dei rifiuti nella Capitale?
«Imporre in maniera coercitiva, anche con provvedimenti drastici, agli impianti di accogliere i conferimenti. E nel medio lungo termine aumentare al massimo la raccolta differenziata per ridurre la quantità di scarti da smaltire in discarica o termovalorizzatore».
Si parla di una sua visita, in compagnia di Melara e Ranieri, dai giudici della Corte dei Conti di Roma: può confermarcelo? Nel caso, quali problemi avete sollevato davanti ai magistrati?
«Non confermo. Abbiamo comunque sottoposto alla Procura regionale della Corte dei conti diverse questioni che abbiamo rilevato».
Ha altro da aggiungere sulle sue/vostre dimissioni?
«Alla lunga, meditata, dettagliata lettera di dimissioni non c’è nulla da aggiungere.
Ora vorremmo soltanto che finisse la tempesta mediatica».