“FARE CASSA”
La seduta di commissione andata in scena in Regione aveva infatti come oggetto la discussione di una determina direttoriale di Ater Roma dello scorso maggio. Più precisamente la n.118, riguardante un piano di ‘housing sociale’. Al di là dell’inglesismo, non è altro che un programma che prevede l’affitto di alloggi popolari recuperati, i quali non vengono più considerati delle unità abitative popolari erp, come ad esempio quelli strappati alle occupazioni abusive (molti in ‘condomini misti’). Questo tipo di alloggi può essere dato in locazione con una decurtazione rispetto al cosiddetto canone concordato, ovvero un importo – che dovrebbe oscillare tra i 300 e 450 euro al mese – più basso di quelli del mercato, ma più alto rispetto ai canoni sociali che si pagano per un alloggio popolare. Ma il nodo del piano è un altro: dopo 3 anni di affitto, viene proposta la vendita a prezzi di mercato, ossia secondo le stime dell’Osservatorio del mercato immobiliare, seppur con una riduzione proporzionata ai canoni di locazione versati.
L’ATER VUOL FARE CASSA PER PAGARE I SUOI DEBITI
La vendita programmata tramite lo strumento dell’housing sociale, che riguarda solamente 180 case, non è altro che la punta dell’iceberg del maxi-piano di dismissione varato dall’Ater. Già, perché solamente un mese dopo la pubblicazione della determina da parte dell’Azienda territoriale, ci ha pensato direttamente la Regione a mettere nero su bianco, nella delibera di giunta n.410 dello scorso giugno: una lista di ben 4.768 alloggi in zone di pregio da alienare. E, ovviamente, sempre a prezzi di mercato. Maxi-vendita che costituisce il salvagente inserito nel Piano di risanamento 2019-2023 di Ater e che genererebbe un gruzzolo da 557 milioni di euro, di cui più della metà – ben 371 milioni – da spalmare sul debito composto principalmente da oneri tributari per Ici-Imu mai pagati negli anni. Emiliano Guarneri, segretario del Sindacato unitario inquilini assegnatari (Sunia) Cgil di Roma spiega: “Far fronte ad una massa passiva che attualmente si aggira complessivamente attorno ad 1 miliardo e 750 milioni tramite la vendita di alloggi popolari è impensabile e improponibile per un contesto di emergenza abitativa come quello di Roma”. E ci spiega anche perché, il giorno dell’audizione in Regione, le associazioni di lotta alla casa hanno preferito presenziare ad una manifestazione a Testaccio, anziché presentarsi a via della Pisana: “Era un programma la discussione di un atto già approvato mesi fa. quindi non c’era nulla su cui discutere, c’era solo da prendere atto”.
“HOUSING SOCIALE? IDEA BUONA MA FATTA MALE”
Eppure la Regione, tramite l’intervento in Commissione non dell’assessore Valeriani ma di un membro della sua segreteria, ha provato a difendere il provvedimento in discussione, quello riguardante l’housing sociale, chiarendo che si tratta di “un piano mirato a soddisfare le esigenze abitative di una fascia di popolazione con un reddito troppo elevato per i requisiti erp, ma al contempo troppo basso per accedere al mercato delle abitazioni”. E infatti la fascia di reddito destinataria di quei 180 alloggi è compresa tra i 22.697 e i 44.969 euro a nucleo familiare.
“Quella dell’housing sociale sarebbe anche una buona idea – dice Guarneri –, ma doveva essere inserita in un preciso contesto, come ad esempio in abbinamento ad un piano per ridurre i migliaia di sfratti l’anno che avvengono a Roma, soprattutto quelli per morosità incolpevole. Così come è stato predisposto, è un provvedimento che sembra punti soprattutto alla futura vendita e quindi a fare cassa, e non ai cosiddetti ‘nuovi poveri’”. Non usa invece mezzi termini Fabrizio Ragucci, segretario di Unione Inquilini: “Non è altro che un piano di vendita mascherato da housing sociale.” E prosegue: “Noi saremmo stati anche favorevoli a un provvedimento del genere, se fosse stato però realizzato senza mettere sul piatto le case popolari: si potrebbe, ad esempio, acquisire abitazioni all’interno di edifici privati vuoti da anni e affittarle ad un canone sostenibile”.
REGIONE LAZIO: QUASI 5.000 ALLOGGI IN VENDITA
Non una vendita mascherata, bensì una maxi-vendita vera e propria è invece quella contenuta nella delibera regionale 410. Così come gli appartamenti della determina Ater n.118, i 4.786 alloggi verranno appunto venduti a prezzo di mercato. E dunque non secondo i prezzi stabiliti dai criteri di alienazione contenuti nelle leggi 560/93 (per gli alloggi costruiti con finanziamento pubblico) e 48/92 (per gli autofinanziati). Importi, quest’ultimi, ovviamente molto più bassi rispetto a quelli del normale mercato.
L’UNIONE INQUILINI VUOLE RICORRERE AL TAR
“Un provvedimento che, dal nostro punto di vista, – dice Ragucci – presenta dei vizi di natura sia morale, dal momento che siamo contrari a qualsiasi forma di vendita di case popolari, sia procedurale e quindi sostanziale. Abbiamo infatti pronto un ricorso da presentare al Tar”. Non pochi dubbi sorgono anche su chi effettivamente, tra gli attuali assegnatari delle case messe in vendita sia in grado di comprare degli immobili a prezzo di mercato in zone urbanistiche di pregio, e quindi con stime di prezzo lievitate, quali sono quelli individuati dall’Ater (ovviamente per incassare di più).
I POVERI ‘SPOSTATI’ VERSO I QUARTIERI PERIFERICI
Ed ecco che potrebbe scattare l’esodo verso la periferia di chi sarà costretto a fare le valigie dalla casa in cui magari ha vissuto per anni, perché non è in grado di acquistarla. Angelo Fascetti, segretario di Usb Asia (Associazione inquilini e assegnatari) commenta: “Le case popolari non possono essere vendute a prezzo di mercato: lo dicono la normativa vigente e diversi pronunciamenti in sede giuridica. L’Ater sta da anni avviando un processo di ‘gentrificazione’, che dà come risultato uno spostamento delle fasce più deboli verso le periferia, dove si stanno concentrando sempre di più gli agglomerati di edilizia popolare”. Sembra essere dunque questa, secondo le associazioni di categoria, la linea dell’Ater: spostare il mirino dell’offerta su fasce di popolazione con redditi maggiori, sperando di portare in cassa milioni utili a tappare buchi di bilancio. Il tutto grazie al cavallo di Troia dell’assistenza abitativa ai ‘nuovi poveri’.