Infiltrazioni, infissi rotti, aree verdi abbandonate all’incuria, ascensori che ogni ‘tot’ smettono di funzionare. E ancora graduatorie chilometriche per l’assegnazione di un alloggio che stridono con vecchi piani di vendita. La gestione ordinaria delle case popolari resta un nervo scoperto un po’ in tutta Italia. Latina compresa, dove l’Ater provinciale deve far fronte a uno scenario in cui si contrappongono diversi fattori che rischiano di scatenare un cortocircuito sul fronte dell’emergenza abitativa. Da un lato c’è un fabbisogno che non accenna a calare nei suoi numeri da campanello d’allarme e che, al fine di colmare quella forbice esistente tra offerta abitativa e richieste di un alloggio popolare, spinge l’Azienda che gestisce l’edilizia residenziale pubblica (erp) nella provincia pontina a programmare investimenti sulla base di piani regionali e ministeriali. Stando alla programmazione degli interventi costruttivi 2019-2021 stilata da Ater Latina, sarebbero infatti 78 le unità abitative da realizzare nel prossimo triennio nella provincia pontina, con una spesa di oltre 2 milioni di euro. Dall’altro lato, invece, ci sono conti di bilancio da far quadrare, disavanzi da ripianare e un commissariamento delle Ater del Lazio – istituito proprio per evitare il baratro – che dura oramai da sei anni. “Una situazione di forte tensione da un punto di vista finanziario”: a metterlo nero su bianco è la stessa Ater nella relazione allegata al bilancio di esercizio del 2017, l’ultimo ad essere reso pubblico (quello del 2018 è stato approvato tramite delibera commissariale, ma del documento nell’albo dell’ente non c’è ancora traccia). Scenario rievocato nelle pagine di un altro documento contabile, ossia il bilancio di previsione riferito al 2019 in cui viene stimato un rosso di 1.299.000,00: “solo con la vendita degli alloggi – si legge – si riesce a migliorare l’equilibrio monetario della gestione relativa all’anno 2019”. Tradotto: fare cassa mettendo le case sul mercato per raggiungere l’agognato pareggio di bilancio a fine anno. Rilanciando, così, un vecchio piano di vendita datato 2007, che prevedeva la dismissione di oltre 3600 case erp. Anche se potrebbe non bastare, visto che conteggiando le cessioni di alloggi previste per l’anno corrente, rimarrebbe comunque un buco da circa 418 mila euro, “fabbisogno finanziario da soddisfare tramite indebitamento bancario e/o dilatazione dell’esposizione con i fornitori”. E tra il martello dell’emergenza abitativa e l’incudine dei conti in rosso si posiziona l’aspetto della manutenzione di un patrimonio immobiliare che conta oltre 7000 alloggi sparsi all’interno perimetro provinciale. La linea seguita dall’Azienda da qualche anno è chiara: oltre a comprimere le spese generali e per il personale, ha intrapreso “politiche gestionali finalizzate alla riduzione dei costi per la manutenzione”, si può leggere riprendendo in mano la relazione approvata un anno fa. E infatti dal 2014 ad oggi, la spesa per la manutenzione ordinaria è stata tagliata di oltre il 30%, arrivando a costituire meno della metà (1,4 milioni, la cifra nel previsionale 2019) di quello che invece l’Ater spende per il personale (ben 3,1 milioni) . Ma sempre in quel documento c’è scritto anche che “limitare, come di fatto, la spesa per la manutenzione ai soli interventi urgenti ed indifferibili, espone l’ingente patrimonio aziendale, di per sé già vetusto, ad un progressivo deterioramento”. Ma da cosa nasce questa coperta corta? Oltre che da vecchi debiti tributari, “principalmente dalla morosità del pagamento dei canoni”, dichiara l’Ater, che al contempo alza le mani e afferma come “sia oltremodo difficile recuperare dei canoni di locazione nei confronti di nuclei familiari le cui condizioni reddituali risultano sovente essere di estremo disagio”. E infatti il tasso di morosità si attesta al 29%, ergo una famiglia su tre non paga. Oltre al fatto che esiste un problema di fondo. All’Ater un alloggio popolare costa più di quanto riesce a ricavare dagli affitti: nell’ultimo rendiconto viene indicato che il costo medio annuo di un’unità abitativa è stato di 734 €, mentre il ricavo di 650 (al netto delle indennità di occupazione). Una forbice che si è comunque ridotta rispetto a pochi anni fa, quando un alloggio costava praticamente il doppio di quanto l’Ater riusciva ad incassare dagli affitti, ma che sta continuando a dilatare le maglie dei conti dell’ente pontino dell’edilizia pubblica, che infatti da tempo chiede alla Regione un aumento dei canoni sociali fermi ai criteri di oltre trent’anni fa.
19/09/2019