La casa del fantasma dell’impiccato – Marika, Nanou, Nicoletta, Flora e Francesco sono bambini vivaci che, nelle estati di trent’anni fa, avevano le loro scorribande nei vicoli del centro storico di Terracina, su e giù per i gradoni stretti e ripidi che portano in Via Mura Castellane. Tra campanili e statue religiose, la torre quadrata al civico 22 è per tutti la casa del fantasma. “Passavamo le giornate estive con la bicicletta o ad arrampicarci sulle rocce, tra una secchiata d’acqua e i rimproveri che ci tiravano le signore anziane infastidite dalla nostra vitalità”, raccontano Marika e Nanou. “Lo sguardo però finiva sempre sulla finestra col vetro rotto, la più alta della torre abbandonata dove era appesa una vecchia maschera di gesso. Un luogo proibito, inaccessibile. Gli adulti ci raccontavano che quella era la dimora del fantasma. Anzi, secondo la leggenda, le pareti della torre ospitavano lo spirito di un uomo che si sarebbe impiccato”. Una delle tante versioni. “Morto impiccato e tedesco, probabilmente di mezza età scampato alla guerra”, dice Cesare, anche lui nato e cresciuto tra i vicoli. “D’altronde gli eventi bellici hanno segnato la gente di Terracina, con i 200 morti nei bombardamenti ed i tantissimi orfani rimasti soli con le madri vedove”.
Luogo proibito, terra di conquista per i bimbi del tempo – “Le spedizioni del gruppo nella torre abbandonata seguivano un vero e proprio rito”, spiega Nanou. “Sempre di primo pomeriggio mentre tutti riposavano, si saliva in fila indiana per le scale in legno che ci parlavano attraverso i cigolii. Io l’ultima della fila a salire e la prima a scappare via terrorizzata tra le grida. Poi puntualmente, a completare un quadro tutt’altro che rassicurante, la sera prima di dormire arrivava il canto della civetta a darci la buonanotte”. Quei luoghi, a distanza di decenni sono ancora intatti nelle menti dei bambini cresciuti: “Dopo le scale si arrivava in una stanza aperta e sulla destra c’era la maschera. Sembrava ci guardasse sempre, in qualunque angolo della casa fossimo. C’erano poi due camere da letto comunicanti colorate da diversi strati di pittura. In particolare, sulla parete di una stanza tutti noi riuscivamo a distinguere la sagoma di una rosa alimentando la nostra fantasia – racconta Marika –. Se nella nostra mente la maschera rappresentava l’anima cattiva dell’uomo che si sarebbe impiccato dopo aver ucciso la moglie, la rosa custodiva lo spirito buono della donna”.
La torre quadrata e la storia di famiglia – Leggende e tanta suggestione. “Nella torre quadrata non risulta sia morto nessuno, per fortuna!”, sorride Fabio Conciatori, proprietario dell’immobile che nei giorni scorsi ha aperto le porte ai protagonisti della storia per un vero e proprio viaggio nei ricordi. L’informatico che vive a Roma, torna a Terracina per qualche giorno di ferie. “Sapevo delle leggende ma ogni volta che se ne parla scopro nuovi particolari. Secondo documenti ufficiali, la torre apparteneva alla famiglia Palmacci, il cognome di mia madre, già a metà del 1800 ma abbiamo modo di pensare che le fu assegnata alla fine del secolo precedente quando la Chiesa, sotto il pontificato di Papa Braschi, volle risarcire le famiglie danneggiate dalla bonifica concedendo la possibilità di abitare le antiche mura costruire a difesa dei confini dello stato pontificio. Risulta che di mio nonno facesse il sandalaro, trasportando merci, persone e bufale con la piroga in lungo e in largo per la palude. Con il prosciugamento dei terreni questo mestiere scomparve. La torre, che comunque risale al V secolo d.c., ospitò la mia famiglia fino allo scoppio della seconda guerra mondiale quando mio nonno, maresciallo dei carabinieri, restò coinvolto nei fatti d’arme e lasciò Terracina. Dopo il conflitto mia madre si stabilì nella parte bassa vicino al mare, affittando la torre che però presto divenne la sede di una comunità hippy. Cosa facessero qui dentro e quanti fossero di preciso, nessuno lo ha mai saputo dire. Di certo tra loro c’erano artisti, pittori e scultori anche di maschere di gesso come quella attaccata al davanzale della finestra. Quando se ne andarono la casa restò vuota per circa 15 anni prima di essere ristrutturata”.
A distanza di trent’anni torna la rosa sulle pareti – Tanta l’emozione da parte di chi, dopo trent’anni è tornato a rivivere i ricordi d’infanzia nelle stanze di quel posto così caratteristico, risolcando il pavimento della camera da letto, luogo di tante suggestioni. Non solo; il filo del destino che lega i protagonisti della storia (menzionata nel romanzo “Il segreto di vicolo delle belle” di cui Marika è l’autrice), prosegue nei giorni nostri. Fabio riconoscerà infatti la torre di famiglia tra le pagine del libro. I social hanno poi fatto il resto, portando alla decisione maturata con la reciproca conoscenza tra l’autrice e il proprietario di rendere tangibili le suggestioni ed i ricordi del tempo attraverso il dipinto della rosa che appariva agli occhi dei bambini. “Abbiamo voluto fare in modo che la storia diventasse realtà attraverso la pittura – spiega Fabio –. La mia compagna Anna ha disegnato la rosa e la pittrice Maria Celeste Del Monte l’ha messa su tela. Che poi questo sia un posto magico, peraltro parte di un centro storico fantastico, io ne sono convinto. Oltre ad essere destinataria di tante leggende, la torre ha celato per circa mezzo secolo un tesoro dal valore emotivo inestimabile. La soffitta, accessibile solo da una botola, ha custodito per decenni documenti, cimeli e l’equipaggiamento miliare (incluso l’uniforme) di mio nonno, tornati alla luce durante la ristrutturazione nonostante il via vai di gente che si è succeduto nel corso degli anni. Di questo patrimonio alcune cose sono andate perdute a causa dell’usura degli anni, altre le custodisco gelosamente come un dono che il destino e il tempo hanno saputo regalarmi”.