Virginia Raggi colleziona un altro addio. E fa imbufalire anche chi (almeno per facciata e per dovere nei 5S) ha sempre provato a giustificare la sindaca. Le dimissioni del pentastellato Enrico Stefàno dalla funzione di vicepresidente vicario dell’Assemblea Capitolina, ampliamente annunciate a Palazzo Senatorio e formalizzate il 4 luglio scorso con un post, avrebbero dovuto essere un campanello d’allarme per la prima cittadina. Il messaggio era chiaro: “Impossibile lavorare a mezzo servizio, se non si revoca Marcello De Vito”.
DE VITO, DAL CARCERE AI DOMICILIARI
La Raggi, invece, invischiata nell’immobilismo fossile scelto per non sbagliare, ha fatto orecchie da mercante, irritando anche i vertici nazionali. Un altro autogol, appare scontato, che non la spingerà però di certo alle dimissioni e probabilmente neanche all’autocritica. Le omissioni, però, parlano chiaro. Ha preferito sacrificare Stèfano che cacciare di forza il presidente dell’Assemblea Capitolina arrestato per corruzione, Marcello De Vito. La questione è nota. Marcello De Vito dopo l’arresto di marzo per l’affaire stadio a Tor di Valle, ora dai domiciliari e fino a qualche giorno fa in carcere, ha sempre ripetuto di non voler rinunciare alla poltrona da vicepresidente della Assemblea Capitolina perché “innocente”. “Mai preso mazzette”, ha ripetuto a gran voce anche in una lettera scritta dal carcere ai suoi colleghi ed alla stessa Raggi. Una versione identica a quella sostenuta dal suo amico (e per gli inquirenti complice) avvocato, Camillo Mezzacapo, tornato a casa coi domiciliari solo qualche giorno prima di lui.
PER STEFÀNO ERA IMPOSSIBILE LAVORARE
Il tutto mentre, con Roma in grave difficoltà, Stefàno arrancava nello sbrigare i compiti senza ruolo effettivo e senza uffici. E che alla fine ha preferito salutare. “Dovevo essere messo in grado di fare il mio lavoro, ma così non è stato”, ha spiegato poi Stefàno. E invece si era ritrovato a firmare documenti complessi e delicati, come la proposta di assestamento al bilancio e la nomina dei revisori dei conti, da semplice vicario. La Raggi nel frattempo, tra dimissioni, addii e cacciate, ha preferito perdere un altro pezzo. Che si va aggiungere ai nove assessori spariti in tre anni di governo, più una decina di nomi cruciali in Campidoglio. Un walzer senza fine. E ignorato. Si parte dall’assessorato al Bilancio: Marcello Minnea, poi Raffaele De Dominicis e Andrea Mazzillo. All’Ambiente prima Paola Muraro, poi Pinuccia Montanari. Ora manca la delega ai Rifiuti rimasta nelle mani della Raggi. Ma anche Massimo Colomban che, chiamato a risolvere il problema sempreverde delle partecipate, ha mollato tutto.
PRONTA SARA SECCIA
Ora, per il posto da vicepresidente vicario del Consiglio Comunale si pensa a Sara Seccia, avvocata, 37 anni, (cinque in più di Stefàno), ex fedelissima di De Vito, ora considerata molto vicina alla Raggi. La procura, intanto, va avanti. La revoca del carcere per i domiciliari disposti per De Vito e Mezzacapo hanno un significato: le indagini sono chiuse, si va verso il giudizio immediato. Presto la seconda retata per lo scandalo stadio porterà a un processo. Altre grane giudiziaria in casa Raggi nel frattempo potrebbero arrivare dal fronte rifiuti. “Non si tratta più di una questione di decoro, ma di allarme igienico-sanitario”. Con un esposto depositato ai carabinieri del Torrino e indirizzato alla procura, Fratelli d’Italia ha puntato il dito contro il “comportamento omissivo della sindaca” di fronte all’emergenza rifiuti. “Un atteggiamento negazionista che sta creando problemi per l’incolumità pubblica”, si legge nell’esposto depositato dal legale di Fratelli d’Italia, l’avvocato Domenico Naccari, e sottoscritto in primis dal dirigente nazionale Federico Rocca. I firmatari hanno chiesto di accertare eventuali profili penali, soprattutto dopo “le segnalazioni dell’Ordine dei Medici di Roma” e ricordato le responsabilità della prima cittadina come “autorità sanitaria locale”.
SENATORE DESSÌ: “CACCIARE DAL SUO RUOLO DE VITO È IMPOSSIBILE”
“De Vito? I rifiuti?”, risponde a il Caffè il senatore, Emanuele Dessì (M5S), “Marcello De Vito tre minuti dopo era fuori dal partito – sostiene il senatore -. Cacciarlo dal suo ruolo, però, è impossibile, prima di una eventuale condanna. Per i rifiuti è colpa di Zingaretti mille per mille. Incapace da sei anni di fare un Piano rifiuti. C’è un doppio problema: il Tmb è stato bruciato e quindi c’è un problema di infiltrazioni mafiose. E la Regione nel frattempo guarda e non indica siti per nuovi impianti”.