Entrato nel carcere di Velletri da semplice criminale, seppure di alto livello, ne è uscito terrorista islamico. Questa la storia di un 44enne macedone, Karlito Brigande, già esponente del movimento nazionalista Uck. Un caso su cui si è ormai pronunciata anche la Corte di Cassazione e che non rientra dunque più nella sfera delle ipotesi, ma delle verità giudiziarie. Il 44enne macedone nel 2014 finì nella casa circondariale veliterna e dietro le sbarre legò con un altro detenuto, il terrorista Firas Barhoumi. Un rapporto nato dalla comune fede islamica, che portò però ben preso Brigande a radicalizzarsi e ad aderire all’Isis. Per i giudici il macedone in carcere venne indottrinato a tutti gli effetti e si decise, una volta fuori, a raggiungere l’Iraq per compiere attentati. Barhoumi fu rimesso in libertà prima di lui e i rapporti tra i due proseguirono tramite il web, i social network e con una valanga di messaggi inviati tramite il cellulare. Il 44enne, una volta uscito anche lui dal carcere di Velletri, nel settembre 2015, andò quindi ad abitare a Roma ed iniziò a organizzarsi per procurarsi documenti falsi e partire alla volta dello Stato Islamico, passando dalla Turchia. Dopo due mesi però i carabinieri fermarono Brigande, su cui pendeva un ordine di estradizione per reati commessi in Macedonia, e lo arrestarono. A quel punto, perquisendo l’abitazione del 44enne, gli investigatori trovarono conferme ai loro dubbi sull’adesione del macedone all’Isis. Vennero trovati dei fogli con scritti i recapiti di Barhoumi in Iraq, missive che i due si erano scambiati, immagini di esponenti dell’Isis e quattro cellulari, contenenti foto e video di Brigande, insieme ad altri, con indosso la mimetica e in pugno armi da guerra. Processato con l’accusa di terrorismo, il 44enne è stato condannato in primo grado a otto anni di reclusione. Una sentenza confermata dalla Corte d’Assise d’Appello di Roma e resa ora definitiva dalla Cassazione. Per i giudici il quadro emerso a carico dell’imputato “non è quello di una mera adesione ideale al programma criminoso o di una mera comunanza di pensiero, aspirazioni e fede religiosa con i suoi ideatori e artefici, quanto piuttosto quello riflessosi nella tangibile disponibilità a svolgere un ruolo attivo di reclutatore e martire rispetto ad una specifica azione violenta perfettamente calata nell’ortodossia del terrore islamico, non importa poi se realmente attuata”.
20/06/2019