Una stagione esaltante, per certi versi storica. Il volley neroniano, sponda maschile, ha vissuto un anno assolutamente trionfale con la Promozione in Serie B di Piazzamore Anzio che ha mandato un’intera città in visibilio. Abbiamo voluto ripercorrere questa fantastica cavalcata con le parole di una delle colonne della squadra, Riccardo Mastracchi, per tutti “Pepsi”.
Si conclude una stagione esaltante, con un epilogo sognato per anni ad Anzio: che emozione hai provato lo scorso 26 maggio? “Un’emozione indescrivibile, senza dubbio. Sentivo molto la gara per tanti motivi, a partire dal mio coinvolgimento in diversi ambiti del progetto, e soprattutto avvertivo la consapevolezza di aver scritto, insieme ai miei compagni, la storia dello sport di Anzio e dintorni”.
Nella tua carriera ti sei reso protagonista di tante promozioni in Serie B, dove collochi quella di quest’anno nella tua personale classifica? “E’ vero, ci sono stati diversi successi, molti dei quali consecutivi, avventure che ho avuto la fortuna di vivere da protagonista lasciando qualcosa di positivo – ed è questa la vittoria più grande – nelle realtà presso le quali ho militato. Quella di quest’anno assume un significato speciale, perché è stata ottenuta con determinazione e sacrificio contro i tanti ostacoli di una stagione per larghi tratti travagliata. Alla fine il lavoro, la serietà, l’onestà e soprattutto i fatti, in luogo delle chiacchiere, sono stati abbondantemente ripagati”.
Le basi per questo successo furono gettate circa un anno fa di questi tempi: come nacque la collaborazione con la società e la voglia di sposare il progetto biancoceleste? “L’input principale arrivò dal rapporto di amicizia con diversi giocatori con i quali, anni fa, avevo condiviso i colori di un’altra società, oggi parte del consorzio sportivo dell’Anzio Pallavolo e già lo scorso anno in forza al suddetto. Nutrivo da tempo il desiderio di poter passare un’altra stagione con loro, possibilmente con ambizioni importanti. Il resto lo ha fatto la carica coinvolgente e l’entusiasmo di Davide Garzi, che ha subito sposato il progetto in perfetta sintonia con le mie aspirazioni ed aspettative, diventandone una delle colonne portanti fino alla fine”.
Quanto è stato importante per il gruppo sentire la fiducia della società durante l’anno, anche quando i risultati non arrivavano? “Credo sia stato fondamentale, la società ha mantenuto una linea che è sempre stata una mia prerogativa: trovare soluzioni ai problemi, piuttosto che autocommiserarsi senza intervenire. Alla fine i risultati si sono visti nel ricompattarsi di un gruppo a più riprese minato da avvenimenti avversi, nei confronti dei quali la società ha sempre messo la faccia, assumendosi le responsabilità anche con interventi decisi”.
Durante alcuni frangenti della stagione hai avuto l’umiltà e l’intelligenza di farti da parte, lasciando spazio a qualche compagno più in forma: il gruppo sempre prima di tutto… “Sicuramente prima di ogni altra cosa viene il gruppo e, nel mio caso, credo di averlo sempre dimostrato. Mi preme fare una precisazione: al di là della mia nota condizione fisica non ottimale, a causa dello storico infortunio al braccio sinistro, e dell’ovvio principio dell’impiegare gli atleti più in forma, ritengo che l’umiltà, il sacrificio e l’intelligenza siano consistite nel farsi da parte – pur non essendo riscontrabili particolari responsabilità e demeriti personali – per aiutare la squadra in difficoltà, agevolando compagni che stavano comunque riversando in campo tutto ciò che avevano”.
Ultima domanda personale: raccontaci come nacque “Pepsi”, il tuo soprannome storico. “Mi fu attribuito proprio durante la stagione di cui parlavamo prima, tra Anzio e Nettuno, dai miei compagni di squadra e dal mister Riccardo Mascetti, ritrovato con grande piacere quest’anno. Venuti a conoscenza del fatto che non bevessi praticamente più acqua, in favore della Pepsi, alla domanda scherzosa se mi rendessi conto che ciò non avrebbe favorito una vita lunga ho sempre risposto che, al contrario, sono proprio quelle bollicine a tenermi in vita!”.