Questo il quadro tracciato dalla Direzione distrettuale antimafia di Roma che, dopo cinque anni di indagini portate avanti dai carabinieri, ha fatto arrestare e mettere in carcere 34 indagati, scoprendo che il clan avrebbe messo a punto anche un rituale di affiliazione basato sul giuramento con il sangue, un fazzoletto di seta annodato e l’immagine di San Michele Arcangelo. Un’organizzazione criminale che avrebbe mantenuto stretti rapporti anche con la camorra casalese, la mafia siciliana dei catanesi Santapaola e Capello, e i Fasciani di Ostia. Tutto gestito da un triumvirato composto dal 61enne Alessandro Fragalà, il nipote 41enne Salvatore Fragalà, e Santo D’Agata, di 61 anni.
Un colpo duro quello assestato dalla Dda alla criminalità del litorale, ma allo stesso tempo anche un’inchiesta che sta facendo tremare la politica locale. Nell’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari romano Corrado Cappiello ha disposto le 34 misure cautelari, lo stesso giudice ha definito emblematiche le relazioni del clan con esponenti politici delle amministrazioni locali. Più nello specifico, sempre secondo il Gip, “l’interlocutore privilegiato di Alessandro Fragalà sin dal momento della detenzione domiciliare è risultato Omero Schiumarini, esponente politico di rilievo nella città di Pomezia, coinvolto in passato nella cosiddetta indagine Bignè”. Attualmente Schiumarini a Pomezia è consigliere comunale del Pd.
Ancora il Gip Cappiello: “Nel corso delle indagini si è registrata la presenza di Schiumarini a casa Fragalà in due occasioni (12/06/2015 e 08/09/2015) e sempre in compagnia di Fragalà Astrid, di cui Schiumarini era stato il mentore durante la detenzione carceraria del padre Alessandro Fragalà, favorendone l’elezione a presidente del comprensorio litorale-sud di Confcommercio Roma avvenuta l’8.1.2009 (“l’ho protetta come una sorella [ … ] l’ho nominata, Presidente dei Commercianti”) e sponsorizzandola come assessore in un Comune limitrofo a quello di Pomezia, come Anzio, dove il cognome Fragalà non fosse noto (“tu sei stata in lista per fare l’assessore ad Anzio […] ma là «FRAGALÀ … chi è FRAGALÀ? FRAGALÀ …», tu quello che sei qui è una cosa, a … a quaranta chilometri … non c’è il collegamento!”. Una condotta che ha portato Alessandro Fragalà a ringraziare il politico, come intercettato dagli investigatori: “Io ti devo dire “Omero grazie”, perché hai preso per mano una ragazza che meritava di essere presa per mano”.
E proprio su Astrid il clan avrebbe puntato per infiltrarsi nel Comune di Pomezia. Lo specifica lo stesso giudice Cappiello, definendo la donna una “figura di collegamento con esponenti delle associazioni di categoria e degli enti pubblici locali, portando avanti il proposito di infiltrazione del clan nel Comune di Pomezia in vista delle elezioni amministrative del 2018”. Fragalà è stato inoltre intercettato mentre discuteva di tali progetti anche con l’ex consigliere comunale di centrosinistra Fiorenzo D’Alessandri, in particolare per cercare persone “presentabili” da candidare e poi manovrare: “Noi gli mettiamo la fascia tricolore, poi dice «che c’è da fare?» gli accordi li facciamo dopo”. Precisa sempre il gip: “Successivamente, D’Alessandri Fiorenzo riferiva a Fragalà Alessandro che già stava riscontrando tangibili effetti positivi, derivanti dalla ripresa dei loro rapporti (“persone che manco mi guardavano in faccia, che ora salutano, che vanno verso mia moglie a salutare”), confermando così il prestigio criminale di cui godeva Fragalà a Torvajanica.
Un politico infine anche tra le vittime di estorsioni. Si tratta di Mauro Vincenzo Gennaro, politico locale di lungo corso, che gli inquirenti evidenziano essere stato coinvolto nel 2001 nell’inchiesta per corruzione e tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso denominata “Bignè”. Nel giugno 2015 è stato monitorato un incontro tra Fragalà e Schiumarini, identificato come ex cognato di Mauro, “finalizzato ad aggiornare il primo, dopo la lunga detenzione, su quanto accaduto a Pomezia negli ultimi anni. Tra gli argomenti trattati il fatto che fosse stata consentita la risalita di “MAURO Vincenzo” nonostante fosse stato, nella citata vicenda penale, “il mio principale accusatore, oltre che tuo ‘e di tanti altri”. Ancora: “Nella circostanza si manifesta l’intendimento criminoso del Fragalà nei confronti di Mauro”, costretto alla fine a pagare.
Va precisato che questi esponenti politici, i cui nomi si trovano nell’ordinanza del gip, attualmente non risultano indagati né destinatari di misure cautelari nell’ambito dell’operazione denominata “Equilibri”, scattata martedì 4 giugno. Tuttavia i «contatti tra esponenti politici locali e uomini del clan», secondo quanto dichiarato dal procuratore romano Michele Prestipino in conferenza stampa, danno «la misura di quanto questo gruppo sia stato capace di penetrare nel territorio del lungomare laziale».