LE RICHIESTE DELLA PONTINA AMBIENTE
Nel 2015, la società Pontina Ambiente aveva presentato un ricorso amministrativo contro la Regione sostenendo che la tariffa del costo di smaltimento dei rifiuti, fissata a 98,45 euro a tonnellata, era troppo bassa e non idonea a coprire i costi sostenuti per la costruzione del VII invaso e per la gestione dell’intero processo di trattamento e smaltimento della spazzatura in arrivo nel sito. La Pontina Ambiente chiedeva 126,89 euro, quindi 28,44 euro in più a tonnellate. Una differenza che, pur sembrando irrisoria, corrisponde a circa 2 milioni e mezzo di euro in più all’anno, centesimo in più, centesimo in meno. Nel processo amministrativo si sono costituiti in giudizio, insieme alla Regione, solo i comuni di Marino e Pomezia, ma non gli altri otto municipi ex utenti e clienti, a comunicare da quello di Albano, sul cui territorio è situato l’immondezzaio.
LA REGIONE SBAGLIA I CONTI
Secondo i giudici Salvatore Mezzacapo e Donatella Scala, della prima sezione quater del Tribunale Amministrativo del Lazio, “la finalità della tariffa (del costo di smaltimento dei rifiuti, ndr) è di assicurare al gestore l’introito e il ristoro di tutti i costi sostenuti, nessuno escluso”. L’ampliamento della discarica ha avuto luogo – scrivono i magistrati – “sulla base di una Autorizzazione rilasciata (dalla stessa Regione, ndr) nel 2009”. Tra l’altro, aggiungono i magistrati, la Regione ha anche autorizzato l’esercizio dell’invaso con due collaudi, del primo sub lotto e del secondo sub lotto della discarica, avvenuti tra il 2011 e il 2012. “La Regione – tagliano corto i giudici – avrebbe dovuto considerare per il ricalcolo della tariffa sia i costi preventivi di investimento che quelli di gestione operativa”, cosa che evidentemente – secondo i giudici Mezzacapo e Scala – non è stata fatta a dovere. La Regione dovrà restituire alla società cerroniana anche i soldi per presunte opere civili eseguite nel sito e relative al VI invaso della discarica.
GIUSTIZIA UN PO’ FUMOSA?
La cosa che lascia perplessi è che nella sentenza i magistrati non hanno indicato alla Regione l’importo corretto della tariffa di smaltimento dei rifiuti da applicare, nemmeno indicativo, visto che quello fissato dai tecnici regionali è stato giudicato troppo basso, lasciando intendere che forse il più ‘giusto’ è proprio quello stabilito dalla stessa società, ovvero 126,89€ per tonnellata. I giudici non hanno nemmeno indicato l’importo del risarcimento danno che dovrà essere restituito al Gruppo Cerroni. Nè tantomeno se a pagare tale risarcimento dovrà essere la Regione, i 10 comuni ex utenti e clienti o entrambi. “Il Collegio ritiene che una volta rideterminata la tariffa definitiva spettante alla parte ricorrente (…) la Regione dovrà procedere al pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno ragguagliata agli interessi di mora maturati”. A quanto ammonta di preciso il gruzzolo che dovrà essere restituito al Gruppo Cerroni? Nessuno lo sa, verrà stabilito dentro le stanze del potere. La sentenza di primo grado del Tar non è stata ancora impugnata dalla Regione presso il Consiglio di Stato, secondo grado della Giustizia amministrativa.
Il misterioso incendio di Roncigliano
L’impianto di Trattamento Meccanico Biologico (o TMB) della discarica di Albano-Roncigliano è andato completamente distrutto in un incendio, dai contorni mai chiariti, nella notte tra il 30 giugno e il 1° luglio 2015. Purtroppo, non è mai stato reso noto chi sia stato indagato e/o rinviato a giudizio per quell’incendio. E soprattutto se l’incendio è stato appiccato da malintenzionati o divampato per la ‘sola’ negligenza. Di sicuro, il grosso capannone verde avrebbe dovuto essere dotato – almeno così prevede la legge – di 3 sistemi antincendio. Almeno così dichiarò la Pontina Ambiente il 28 maggio 2015 nella dichiarazione Ambientale triennale 2016-2018 inviata a vari Enti pubblici. Un sistema fisso ad acqua pressurizzata, uno fisso a biossido di carbonio ed uno mobile con estintori. Ma allora perché questi sistemi non hanno funzionat? DI sicuro, il sito è stato prima sequestrato e poi dissequestrato. Un fabbricato industriale alto 12 metri e ampio quasi 10mila metri quadrati, quasi quanto due campi da calcio di serie A. Da agosto 2011 e fino al momento dlel’incendio questo impianto riceveva i rifiuti indifferenziati di otto comuni dei Castelli (Albano, Ariccia, Genzano, Castel Gandolfo, Marino, Lanuvio, Nemi e Rocca di Papa) più Ardea e Pomezia. Lì dentro, tutta la spazzatura in arrivo veniva suddivisa in modo aprossimativo in frazioni merceologiche minori destinate ad essere interrate nel VII invaso (la frazione cosiddetta secca) o bruciata nell’inceneritore del Gruppo Acea di San Vittore.