Nella speranza di non annegare nel cielo di Van Gogh, per riuscire a narrarne i colori, il Caffè di Roma è entrato nella Cooperativa E.C.A.S.S., con l’unica certezza di voler comprendere un mondo in precario equilibrio che, lì affacciato, si regge faticosamente al nostro. Questo centro di riabilitazione, accreditato dalla Regione Lazio, nasce nel quartiere Magliana quando un gruppo di sociologi, psicologi, educatori e medici, nel 1980 accolgono un gruppo di disabili mentali provenienti da istituti psichiatrici, proponendone la piena integrazione nel contesto del quartiere. Ora, da un appartamento qualunque, in un condominio qualunque in via della Magliana escono, ogni volta che il tempo lo permette, utenti ed educatori per dirigersi al vicino campo da calcio. Una signora entusiasta dice che la mamma la porta, in occasione del suo compleanno, che era ieri e tutte le settimane e sempre, nella chiesa di Santa Silvia; Bomber, un trentenne robusto, ti sorride se sei della Juve e lui è Ronaldo, vuoi o non vuoi; un ragazzo sarà trasferito ai servizi residenziali per acquisire maggiore autonomia, vedrà meno la fidanzata che resta al centro attività diurne, perciò viaggiano isolati e avvolti in un abbraccio che guida il resto del gruppo fino al campo. Qui molti giocano a pallone, altri in panchina urlano qualunque cosa somigli al tifo per la squadra del cuore. L’educatrice Maria Deodati racconta che Bomber, dopo aver preso l’impegno con la famiglia di rendersi utile con piccoli lavori domestici e nella cura di sé, ha avuto occasione di andare con il gruppo a Parco Leonardo. Lì ha raggiunto l’obiettivo di individuare il negozio di sport dove gli educatori hanno comprato per lui la maglia di Ronaldo, “è il giorno più felice della mia vita”, ha detto. Ci raggiunge il Direttore Sanitario, prof. Corrado Dastoli e, seduto anche lui in panchina, afferma che in ECASS non si fa una semplice riabilitazione psichiatrica ma una psico-riabilitazione. “Non si dà una sola risposta lineare ad un problema – dice – ma si svolge un’attività complessa. Ci occupiamo di tutta una serie di significati che stanno intorno ad un deficit nell’espressione di sé, perché la promozione di una migliore qualità della vita si realizza su più piani”. Insomma una forma di medicina olistica? Il Direttore risponde al Caffè: “Noi andiamo oltre la medicina, non si tratta solo di salute ma anche di benessere economico, di diritti, di quei fondamenti della qualità della vita che, se ci si ferma a riflettere e si fa una specie di poster americano, magari ci si mette dentro una bella moglie e altro. Il contributo che offriamo è radicato su risorse comuni: i nostri appartamenti sono civili abitazioni, si vive una vita di condominio, si interagisce con il portiere, con i vicini di casa.” Questo approccio comporta dei rischi? “Il rischio clinico – continua il prof. Dastoli – sta nell’andare sempre un po’ oltre lo status quo. Se siamo iperprotettivi e organizziamo una situazione di assoluta tutela non offriamo la possibilità di andare oltre. In una dialettica con la famiglia del nostro ospite ci poniamo magari l’obiettivo di fargli prendere l’autobus da solo. Il nostro compito è quello di individuare il margine su cui lavorare e fare un avanzamento.” Antonio Pellegrino, fisioterapista e coordinatore, riunisce tutti per giocare a rubabandiera e spiega che “al campo si fanno giochi di tipo competitivo a squadre o uno contro uno, lavorando sulla coordinazione, sulla strategia motoria e sulla forza e resistenza fisica. A livello cognitivo si lavora sull’autostima, sull’accettazione della frustrazione, sulla collaborazione per raggiungere l’obiettivo comune e sul rispetto dell’avversario”. Antonio fa riferimento alle difficoltà motorie di questi ragazzi, dovute alla mancanza di esperienze: “c’è un problema dovuto alla patologia con cui nascono, sono bambini che fanno meno esperienze di quelli normodotati in quanto non giocano allo stesso modo, non fanno gli stessi sport. A livello affettivo, sono bambini che vengono meno toccati, meno accarezzati, ci può essere anche una sorta di rifiuto. Noi qui dobbiamo dare quegli stimoli che sono mancati con lo scopo di fargli raggiungere il massimo delle loro potenzialità”. Il gioco è finito e questa pagina non può registrare neanche la metà di ciò che provi quando la ragazza asperger, dopo tanto silenzio, butta lì a bruciapelo un ciao. Ti resta addosso questa misteriosa umanità, così incompresa dalla voce normalità nel dizionario dell’esistenza. Eccezionalmente unica e irripetibile. A volte poi, magnifica, come la celebre Notte Stellata. Patrizia D. Artemisio
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