Giudici europei chiamati ad arbitri nella “antennopoli” capitolina. Dovendo esprimersi su sette appelli presentati dai colossi telefonici, il Consiglio di Stato ha trasmesso gli atti alla Corte di Giustizia dell’UE, riscontrando dei contrasti tra quanto previsto per la localizzazione dei ripetitori dalle direttive europee e quanto stabilito dalle norme nazionali, su cui si basa il regolamento varato da Roma Capitale e contestato da Telecom Italia, Wind Tre e Vodafone Italia. Atteso così un pronunciamento destinato a fare da spartiacque in materia a livello romano e nazionale. I gestori telefonici hanno impugnato il regolamento sulla localizzazione, l’installazione e la modifica degli impianti di telefonia mobile, oltre che sul sistema di monitoraggio delle sorgenti di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, approvato dal Campidoglio il 14 maggio 2015, durante la consiliatura di Ignazio Marino. Un regolamento che fissa dei paletti volti a minimizzare l’esposizione dei cittadini ai campi elettromagnetici, a mitigare l’impatto visivo dei ripetitori, a vietare l’installazione di tali strutture nei pressi di luoghi sensibili come ospedali, case di cura, scuole, oratori e parchi gioco, a limitarli nelle aree naturali e di alto valore paesaggistico, oltre che a farli rimuovere dalle zone non idonee nell’arco di due anni. Per le società telefoniche regole che sono “praticamente preclusive delle attività di pianificazione dello sviluppo della rete”. I gestori, sconfitti al Tar, hanno così chiesto al Consiglio di Stato di annullare gli atti impugnati, ipotizzando violazioni di legge ed eccesso di potere, ma soprattutto un contrasto profondo con le direttive europee. I giudici di Palazzo Spada hanno quindi notato che l’UE ha più volte specificato che è fondamentale garantire a tutti i servizi, di poter telefonare, ricevere e trasmettere dati ovunque, sempre e al miglior costo. Per il Consiglio di Stato le direttive europee fanno così sorgere degli interrogativi sulla compatibilità con le stesse delle norme nazionali, che consentono una serie di restrizioni nei criteri localizzativi degli impianti. Perplessità inoltre sulla limitata semplificazione per poter installare i ripetitori. I giudici hanno a quel punto ritenuto fondamentale arrivare a un bilanciamento fra opposte esigenze e interessi primari, tra quelli di essere informati e comunicare e quelli di tutelare l’ambiente e la salute, considerando anche che “i dati scientifici attualmente a disposizione non dimostrano in modo certo che le emissioni elettromagnetiche siano dannose per la salute”. Da Palazzo Spada hanno infine trasmesso, con apposita ordinanza, gli atti alla Corte europea, chiedendo “se il diritto dell’UE osti a una normativa nazionale intesa ed applicata nel senso di consentire alle singole amministrazioni locali criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile, anche espressi sotto forma di divieto, quale il divieto di collocare antenne in determinate aree, ovvero ad una determinata distanza da edifici appartenenti ad una data tipologia”. Qualunque sarà la decisione della Corte europea rappresenterà una rivoluzione per Roma e non solo.
04/04/2019