I giudici sono convinti che Raffaele Marra, ex braccio destro della sindaca Virginia Raggi, ‘svendette’ la propria funzione al costruttore Sergio Scarpellini. Nove determinazioni dirigenziali sarebbero state dirette – secondo gli inquirenti – a favorire la liquidazione di somme al gruppo del costruttore. È stato inutile il tentativo degli avvocati della difesa di ridimensionarne il ruolo, una tesi giocata sulla tesi secondo la quale Marra sarebbe stato pressato dai Cinque Stelle «per svolgere l’opera di formazione della nuova struttura capitolina allora in corso di realizzazione». Marra – sempre secondo i magistrati – si mise a disposizione del costruttore. Così vanno lette quelle determinazioni dirigenziali e così va letta l’intesa per l’acquisto di un appartamento a prezzo scontato, tramite due assegni che Marra inutilmente ha cercato di accreditare come semplice «prestito». I fatti «rivelano una personalità orientata a un’ostinata e pervicace attività manipolatoria delle fonti di prova, intrapresa ancora prima dell’instaurazione del processo e mantenuta durante l’intera istruzione dibattimentale». I giudici hanno rinviato alla procura gli atti relativi a tre testimoni (Correale, Ceci e Togna). Fra i due, Marra e Scarpellini, l’intesa era perfettamente equilibrata: «Scarpellini (ricavava, ndr) l’utilità derivante dall’avere il pubblico ufficiale a disposizione; Marra quella di una provvista di liquidità a suo favore».
15/03/2019