Carcere confermato e accuse di mafia “blindate” per Daniele Coppi. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal 32enne di Aprilia arrestato nell’ambito dell’inchiesta “Alba Pontina”, relativa a una presunta associazione per delinquere di stampo mafioso costituita a Latina dai Di Silvio di Campo Boario. Coppi è accusato di intestazione fittizia di beni, perché avrebbe fatto da prestanome a quello che è ritenuto dalla Dda capitolina il capo dell’organizzazione criminale, Armando Lallà Di Silvio, e di aver agevolato in tal modo l’associazione mafiosa. L’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Roma a carico del 32enne è stata avallata il 13 luglio scorso dal Tribunale del Riesame e ora dalla Cassazione. Nel ricorso presentato alla Suprema Corte, la difesa di Coppi ha contestato l’ordinanza di custodia cautelare, emessa dopo che la prima ordinanza era stata annullata in quanto considerata un copia e incolla delle richieste della pubblica accusa, ha sostenuto che non vi era stata alcuna agevolazione dell’organizzazione mafiosa, avendo l’apriliano avuto un solo contatto con Di Silvio e non essendo a conoscenza dell’attività del gruppo di origine nomade, che non vi sarebbe rischio di reiterazione del reato, e ha contestato la scelta del carcere come misura cautelare per il giovane. La Cassazione ha invece ritenuto perfettamente valida la nuova ordinanza, essendo la prima stata annullata per un vizio formale ed essendo lo stesso emendabile. Secondo gli ermellini, inoltre, Coppi avrebbe avuto più di un contatto con Lallà, come emergerebbe dalle intercettazioni fatte dalla squadra mobile, e l’apriliano sarebbe stato consapevole di agevolare un’organizzazione mafiosa. I giudici hanno così sottolineato la confidenza tra Coppi e Lallà, gli appuntamenti e le cene tra i due, tanto che il 32enne avrebbe anche mandato i saluti in carcere al figlio di Armando Di Silvio, Pasquale, specificando di volergli bene. Evidenziato quindi che Coppi avrebbe avuto con i nomadi un debito probabilmente per droga, essendo stato immortalato mentre riceveva un involucro da Lallà e ne sniffava il contenuto. Un uomo dunque, che intestandosi un terreno di Di Silvio, sarebbe stato “consapevole di favorire non soltanto il diretto interessato, ma l’intero gruppo criminale intorno a lui, dedito ad attività criminali, di cui il ricorrente doveva ritenersi perfettamente consapevole per avervi fatto ricorso quanto meno come acquirente di sostanze stupefacenti”. Vi sarebbe dunque stata “consapevolezza del ricorrente di agevolare la consorteria mafiosa”. E il ricorso è stato dichiarato inammissibile.
10/01/2019