Come vi abbiamo raccontato la scorsa settimana, tra i danni provocati dall’erosione c’è uno scalino di due metri che impedisce alle barche dell’approdo di Torvaianica centro di uscire in mare. Tre delle quattro cooperative di pescatori presenti sul territorio hanno provveduto ad informare del problema la Capitaneria di porto, il Comune di Pomezia, la Regione Lazio, la Città metropolitana di Roma e l’Arpa, chiedendo un intervento in tempi brevi per livellare la spiaggia oppure l’autorizzazione a provvedere autonomamente. Da quel 28 marzo nulla si è mosso e l’unico intervento è stato quello del Comune a protezione delle passerelle di accesso all’arenile.
Già prima dell’erosione far uscire le barche dal piccolo approdo di Torvaianica centro era un’impresa difficile e rischiosa. In totale balìa delle correnti, spinte da venti di scirocco e di libeccio, i pescatori affrontano nei primi 30 metri la parte più complicata delle manovre di uscita e rientro. Oggi uscire in mare è un’impresa quasi impossibile, un danno economico incalcolabile per le famiglie che vivono di pesca.
A dar voce ai pescatori riguardo il problema dell’erosione è Roberto Camerota, presidente della cooperativa pescatori Stella Marina: «Si è parlato di frangiflutti posti parallelamente alla costa, ad una distanza di circa 200 metri. Dal nostro modesto punto di vista un’intervento del genere sarebbe dannoso per i pescatori: la pesca delle telline si svolge proprio in quella fascia di mare. Questo intervento non servirebbe comunque a proteggere la costa dall’erosione, perché Torvaianica è esposta a correnti trasversali. Noi abbiamo sentito degli esperti che, vista la conformazione marina della nostra zona, hanno individuato come possibile soluzione il posizionamento in mare di pannelli verticali posti perpendicolarmente alla linea di costa, ad una certa distanza l’uno dall’altro, evitando così che la corrente crei dei vortici che portano via la sabbia, come accaduto ad esempio al Piccolo Porto». Un intervento che semplificherebbe la vita anche ai pescatori. «Un’iniziativa come questa porterebbe due benefici: fermare l’erosione e mettere in sicurezza l’approdo. Già avere due pontili, due barriere ai lati della nostra area, che fermano la corrente nei primi 20-30 metri, per noi sarebbe quasi come avere un porto. Affrontare quei primi 20-30 metri in uscita e in entrata è molto pericoloso perché le barche rischiano di capovolgersi. Quando siamo in mare aperto e il vento si alza iniziamo a preoccuparci per il rientro. Quello che chiediamo non è un porto, siamo consapevoli che a Torvaianica non si farà mai, ma solo di poter lavorare in sicurezza».
Il porto, quella promessa lunga 70 anni e mai mantenuta. Una chimera a cui già da tempo si è smesso di credere. Ora i pescatori chiedono solo di poter tornare in mare, richiesta ad oggi inascoltata come tante altre: avere degli spazi per il materiale, un’area protetta da non lasciare incustodita, la possibilità di avere piccole infrastrutture atte alla vendita diretta (come ad Anzio). Una piccola spinta che potrebbe portare grandi benefici all’economia di Torvaianica: «Invece veniamo criticati per come teniamo le reti – lamenta Camerota – durante la notte molti stranieri vengono a dormire nelle nostre barche e noi non possiamo farci niente. D’estate, data l’assenza di wc pubblici, i bagnanti utilizzano quest’area come un gabinetto. Abbiamo bisogno di uno spazio che sia solo nostro». Nell’attesa, la priorità è quella di tornare in mare. C’è tanto lavoro da fare mentre continuiamo ad aspettare.
di Shady Ismail