Il signor Ottavio Sicconi adora la storia, la respira tra un fiato e l’altro mentre ne parla agli studenti che lo hanno ascoltato solo pochi giorni fa al Vittorio Veneto di Latina. Il tema della conferenza è radicato nella sua vita, quella di esule istriano nato a Prenzo “l’antica Iuliano Parentium – ci racconta – colonia romana poi bizantina e poi dal 1267 fino al 1797 si è donata e non occupata manu militari alla Repubblica Serenissima di Venezia per più di cinque secoli sudditi dei Dogi di Venezia”. E la storia per chi è stato costretto a fuggire dalla propria terra di nascita è certamente importante, ultimo cordone ombelicale che riporta gli uomini come il signor Sicconi a casa, almeno con il ricordo. “Molti secoli dopo, con molte peripezie per questa terra arriva il congresso di Vienna e la terra che mi ha dato i natali è passata agli austriaci, molti amavano quel dominio durato per oltre un secolo. Mio nonno era italiano ma amava l’ordine e le garanzie della cultura e la burocrazia austroungariche”. Ma dopo il romantico excursus storico Sicconi sbarca con il pensiero sui suoi giorni di giovane, ancora non adolescente durante la seconda guerra mondiale. Di quando frequentava la prima media a Prenzo e aveva una maestrina che oggi è nota come uno dei simboli del martirio di molti italiani nelle foibe: Norma Cossetto. “I miei genitori non erano mal voluti prima di quei giorni e devo dire che la guerra per noi era più un resoconto alla radio che, specialmente negli ultimi periodi, ci faceva trepidare perché gli italiani continuavano ad arretrare senza tregua. E, nonostante la propaganda cercasse di minimizzare parlando di vittorie e nuove posizioni, dalle nostre parti si usava dire ‘sì nuove posizioni. Ma sempre endrio’, sempre indietro. Ed era così. La nostra famiglia non era fascista, io ero stato Balilla ma a quel tempo era obbligatorio. I nostri problemi come per tutti però sono arrivati con il comunismo che ci voleva togliere tutto perché nazionalizzavano. Tito era un tiranno spietato e nella sua spietatezza c’era però un disegno. Infatti dopo aver rivolto contro gli italiani la sua furia si gettò con maggiore furore se è possibile contro i suoi nemici interni. Ma tutto questo per noi non avrebbe avuto molto senso. Ne avrebbe avuto in seguito quando siamo migrati qui in Italia, a Latina in uno stabile che oggi è il teatro. Qualche lettiga di paglia all’ex GIL (Gioventù Italiana di Littoria, in via Umberto I) un palazzo grezzo, senza nemmeno una mattonella da nessuna parte. Dove oggi c’è l’atrio c’era un pavimento sterrato e lì ci hanno accolto dopo venti ore di viaggio da Udine il 25 ottobre del 1948”. Il suo ricordo della maestrina Norma Cossetto è puro e commovente. Un ricordo infantile di una giovane prossima alla laurea che insegna chiamata dal preside ancora prima di avere l’abilitazione perché molti insegnanti erano partiti per la guerra. “Norma era una ragazza moderna – ci racconta – una bella ragazza che sapeva vestire bene, alla moda, che aveva studiato in un collegio. Ma era molto colta, sensibile e intelligente anche. Ricordo che in quel periodo in cui ci fece scuola ci accennò al fatto che si scriveva con un ufficiale ma non ne abbiamo mai saputo nient’altro. Della guerra diceva solo che sperava che finisse presto e che tutto andasse bene, quindi non l’ho mai sentita fare lodi o proclami fascisti o chissà cosa. E ancora me la rivedo davanti come l’ultimo giorno in cui ci ha salutato per la fine dell’anno scolastico prima di andare a sostenere la sua tesi di laurea. Bella, seduta in una gelateria vicino alla riva con le sue amiche. Noi eravamo ragazzetti, non ci potevamo mettere al tavolo in mezzo alle ragazze. Ma lei ci ha offerto il gelato, ci ha detto di studiare e che sarebbe partita presto. Sembrava tutto normale quando se n’è andata dicendo che ci saremmo visti ad ottobre. E poi chissà che cosa ha pensato, perché quando è arrivata in fondo alla riva che quasi ormai se n’era andata si è voltata. Ha estratto un fazzoletto bianco e ci ha salutati tutti ancora, da lontano, come la visione di una premonizione. E che vi devo dire? Io se ci penso ora mi commuovo a rivedermela così, davanti agli occhi dopo tutti questi anni che ci salutava con questo fazzoletto candido e noi da lontano che ricambiavamo con le manine per aria. Non l’abbiamo mai più vista. E’ stata inghiottita dalla tragedia delle foibe. E’ stato bello per me assistere all’inaugurazione di un parco in suo onore. Purtroppo una notte dopo qualche stupido ha pensato bene di imbrattarlo perché la madre degli sciocchi è sempre incinta. Ma una cosa voglio dire a tutti, soprattutto ai giovani che oggi litigano sulla storia tra ideologie e rabbia. Noi siamo italiani cosa possiamo fare, rinnegare l’Italia? No, ma non per questo dobbiamo odiare qualcuno. Perché c’è stato davvero tanto, troppo dolore. L’odio non ci deve essere. Noi in famiglia non ne abbiamo portato nel cuore, dobbiamo solo imparare dalla storia e basta. L’odio non ci deve essere più”.
Ivan Eotvos
15/02/2018