Ha confessato un secondo omicidio dal suo letto del reparto di psichiatria dell’ospedale Santa Scolastica di Cassino. Salvatore Amato, 47 anni di Aprilia, sta scontando una condanna a 16 anni per l’omicidio di Stefania Gusella, avvenuto nel 1998 ad Aprilia. A quanto sembra, tuttavia, l’uomo si sarebbe macchiato anche di un altro delitto: quello di un senzatetto polacco sulle rive del Tevere, nell’ottobre scorso. A rivelarlo è stato lui stesso in questi giorni, quando ha chiesto di parlare con i poliziotti: «Ha rifiutato un pezzo di pane che gli ho offerto. Voleva del danaro. Abbiamo iniziato a discutere e poi ho sentito nuovamente “la voce”, che mi diceva di ucciderlo», ha detto agli investigatori della Squadra Mobile di Frosinone, che lo hanno interrogato su disposizione del sostituto procuratore Francesco Cerullo. Tre ore di colloquio – confessione avvenuto anche grazie all’ottimo lavoro di recupero psichiatrico da parte dei medici dello speciale reparto ospedaliero di Cassino.
Ora si stanno effettuando i riscontri: in effetti ad ottobre un corpo è stato ripescato dal Tevere, ma la morte non sembrava essere stata violenta. L’esame autoptico parlò di annegamento, ma tutto può essere. Salvatore Amato è ora piantonato a vista nel reparto di psichiatria in attesa che il magistrato decida, nel momento in cui venga riscontrato in maniera certosina il suo racconto, un eventuale trasferimento in un carcere adeguato ad ospitare soggetti con simile patologia.
Il delitto di Stefania Gusella è ancora ben presente nella memoria degli apriliani. La 22enne era uscita di casa il 23 maggio 1998 dicendo ai genitori che doveva incontrare il fidanzato, Salvatore Amato, 28 anni, muratore presso la ditta edile del padre. Quando la giovane scomparve, Amato disse che avevano litigato e che lei se ne era andata a piedi verso casa. Lo inchiodarono alcuni capelli di lei trovati in auto. Secondo la ricostruzione fatta dai carabinieri, Amato l’ha strangolata e poi sepolta in via Selciatella, in uno spazio erboso poco distante dalla pinetina in cui usano appartarsi le coppiette. Il motivo? Lei l’amava troppo, lui non ne poteva più. E poi quella “voce” che gli diceva di uccidere.