Il fantasma della discarica di Borgo Montello allunga la sua ombra nel cuore della bonifica pontina fino a Nettuno, e intorno alla discarica, misteri e segreti di ogni sorta, hanno condiviso lo spazio e il tempo con le popolazioni che vivono nelle immediate vicinanze.
Ma oltre alle paura per i veleni, per i fusti di materiale tossico paventati dal pentito Schiavone, i dubbi perduranti sulla morte del parroco Don Cesare Boschin, le navi dei traffici dei rifiuti speciali e tante altre vicende del passato, aleggia anche una grande tematica amministrativa che da almeno un trentennio ha schiacciato proprio i più deboli, ovvero i pochi residenti nelle immediate vicinanze della discarica stessa.
Recentemente, l’Arpa Lazio e l’istituto Ispra hanno redatto un documento in cui si conferma, prima di tutto, che dentro all’invaso madre che negli anni Settanta ha dato inizio alla discarica in modo dubbio e torbido, il famigerato “S zero”, non è mai stata compiuta nessuna attività di protezione o bonifica. Questo avrebbe dato vita, insieme alle tante situazioni poste in essere negli anni, all’inquinamento delle falde acquifere. Almeno secondo la Magistratura pontina che, dopo una complessa perizia tecnica sulla contaminazione del sito, a dicembre ha rinviato a giudizio i vertici della Ecoambiente (società che gestisce tuttora un versante della discarica di Borgo Montello), l’ex amministratore delegato Bruno Landi, il presidente Vincenzo Rondoni, già assessore a Latina, e l’imprenditore Nicola Colucci. Verranno processati dal prossimo giugno. Le pesanti accuse sono di aver inquinato consapevolmente la falda idrica con il percolato (rifiuti interrati a pochi metri dalla sottostante falda), di non aver controllato e impermeabilizzato a dovere tre invasi e di non aver fatto bene le necessarie bonifiche né i monitoraggi ambientali e di aver falsato le analisi sulle acque.
Landi è uno dei grandi protagonisti anche del versante sud del Lazio di un’altra inchiesta, culminata con arresti e perquisizioni a gennaio del 2014 nella quale Landi era definito come il braccio destro a servizio degli interessi del magnate dei rifiuti Manlio Cerroni. Altro personaggio strategico nel settore è il prof Gian Mario Baruchello. A Borgo Montello ha curato progettazione e direzione lavori della discarica gestita da Ecoambiente, sopra quei tre invasi che avevano contaminato il vicino fiume Astura e per i quali la Procura di Latina vuole processare Landi, Rondoni e Colucci. Una sorta di coperchio di rifiuti su altre montagne di rifiuti. Lo stesso Baruchello è tra gli indagati dell’inchiesta su Mafia Capitale, sempre per vicende legate all’immondizia. Intercettato dagli investigatori al telefono con un dirigente di Ecoambiente, lo mette in guardia su certi rifiuti interrati nella discarica di Borgo Montello, classificati dalla società “di origine sconosciuta”.
Meglio cambiare denominazione, suggerisce Baruchello, e classificarli come “rifiuti solidi urbani” così “da non dare ragione a Schiavone”, il pentito di Camorra secondo il quale, tra Latina e Nettuno, sono stati sepolti anche fusti tossici.
C’è poi l’altro scandalo, quello targato Indeco, la seconda società che controlla con una gestione definita “criminale” dalla Procura della Repubblica pontina altri invasi a Borgo Montello. I vertici sono stati arrestati in due retate tra ottobre e novembre scorsi, salva poi la scarcerazione disposta dal Tribunale del Riesame. Secondo gli inquirenti hanno truffato i Comuni gonfiando costi e tariffe e fatto sparire oltre 30 milioni di euro che dovevano servire per mettere in sicurezza il sito una volta dismesso. Indeco, racconta il Pm Luiga Spinelli, avrebbe svolto una «pressante attività finalizzata a simulare il raggiungimento dei limiti di capienza (delle vasche dove sversare immondizia, ndr) al solo fine di ottenere autorizzazione all’ampliamento». I siti dove poi è sorta la gestione di Ecoambiente (gli invasi denominati S1, S2 ed S3, che hanno creato l’iniziale contaminazione del fiume e delle falde) prima erano gestiti da Indeco (proprietà Ecomont Srl), che inizialmente doveva procedere alla bonifica dei siti stessi. Già da allora doveva avere una fidejussione, cioè un’assicurazione per garantire la gestione post mortem e per lasciare il posto al sicuro.
Ma nessuno gliene ha chiesto conto. Anzi, con l’appoggio diretto dell’Amministrazione di Latina (Sindaco Ajmone Finestra), anziché chiudere per sempre quegli invasi, hanno ricominciato a scaricarci rifiuti. E l’ordinanza con cui il Presidente della Regione Nicola Zingaretti il 27 febbraio 2014 ha permesso di scaricare altra immondizia non trattata a Montello, nonostante i divieti europei e nazionali? Il 9 settembre scorso, la Regione Lazio ha rinnovato fino al 6/4/2018 l’autorizzazione alla discarica Indeco di Latina. Nonostante mancassero le garanzie finanziarie (6,7 milioni di euro) per rischi e danni ambientali. Carenze scoperte dalla Polizia, ma sfuggite alla Regione…
Il Comune di Latina ora chiede al Tar di annullare quell’autorizzazione. La società, sebbene in grave difetto, non ripara e dice che è colpa della bufera giudiziaria se ancora non fornisce quelle polizze, dice in soldoni “se mi autorizzate, dò le garanzie” e chiede una proroga.
E la Regione obbedisce: gli hanno dato altro tempo per depositare quelle polizze. Pazienza se il Comune, finalmente, urla che lì non vanno più interrati rifiuti perché l’area è stremata dai veleni. Lo stesso Comune che a dicembre 2013 spianò di nuovo la strada alla Ecoambiente con la farsa della perimetrazione.
Ma oltre alle paura per i veleni, per i fusti di materiale tossico paventati dal pentito Schiavone, i dubbi perduranti sulla morte del parroco Don Cesare Boschin, le navi dei traffici dei rifiuti speciali e tante altre vicende del passato, aleggia anche una grande tematica amministrativa che da almeno un trentennio ha schiacciato proprio i più deboli, ovvero i pochi residenti nelle immediate vicinanze della discarica stessa.
Recentemente, l’Arpa Lazio e l’istituto Ispra hanno redatto un documento in cui si conferma, prima di tutto, che dentro all’invaso madre che negli anni Settanta ha dato inizio alla discarica in modo dubbio e torbido, il famigerato “S zero”, non è mai stata compiuta nessuna attività di protezione o bonifica. Questo avrebbe dato vita, insieme alle tante situazioni poste in essere negli anni, all’inquinamento delle falde acquifere. Almeno secondo la Magistratura pontina che, dopo una complessa perizia tecnica sulla contaminazione del sito, a dicembre ha rinviato a giudizio i vertici della Ecoambiente (società che gestisce tuttora un versante della discarica di Borgo Montello), l’ex amministratore delegato Bruno Landi, il presidente Vincenzo Rondoni, già assessore a Latina, e l’imprenditore Nicola Colucci. Verranno processati dal prossimo giugno. Le pesanti accuse sono di aver inquinato consapevolmente la falda idrica con il percolato (rifiuti interrati a pochi metri dalla sottostante falda), di non aver controllato e impermeabilizzato a dovere tre invasi e di non aver fatto bene le necessarie bonifiche né i monitoraggi ambientali e di aver falsato le analisi sulle acque.
Landi è uno dei grandi protagonisti anche del versante sud del Lazio di un’altra inchiesta, culminata con arresti e perquisizioni a gennaio del 2014 nella quale Landi era definito come il braccio destro a servizio degli interessi del magnate dei rifiuti Manlio Cerroni. Altro personaggio strategico nel settore è il prof Gian Mario Baruchello. A Borgo Montello ha curato progettazione e direzione lavori della discarica gestita da Ecoambiente, sopra quei tre invasi che avevano contaminato il vicino fiume Astura e per i quali la Procura di Latina vuole processare Landi, Rondoni e Colucci. Una sorta di coperchio di rifiuti su altre montagne di rifiuti. Lo stesso Baruchello è tra gli indagati dell’inchiesta su Mafia Capitale, sempre per vicende legate all’immondizia. Intercettato dagli investigatori al telefono con un dirigente di Ecoambiente, lo mette in guardia su certi rifiuti interrati nella discarica di Borgo Montello, classificati dalla società “di origine sconosciuta”.
Meglio cambiare denominazione, suggerisce Baruchello, e classificarli come “rifiuti solidi urbani” così “da non dare ragione a Schiavone”, il pentito di Camorra secondo il quale, tra Latina e Nettuno, sono stati sepolti anche fusti tossici.
C’è poi l’altro scandalo, quello targato Indeco, la seconda società che controlla con una gestione definita “criminale” dalla Procura della Repubblica pontina altri invasi a Borgo Montello. I vertici sono stati arrestati in due retate tra ottobre e novembre scorsi, salva poi la scarcerazione disposta dal Tribunale del Riesame. Secondo gli inquirenti hanno truffato i Comuni gonfiando costi e tariffe e fatto sparire oltre 30 milioni di euro che dovevano servire per mettere in sicurezza il sito una volta dismesso. Indeco, racconta il Pm Luiga Spinelli, avrebbe svolto una «pressante attività finalizzata a simulare il raggiungimento dei limiti di capienza (delle vasche dove sversare immondizia, ndr) al solo fine di ottenere autorizzazione all’ampliamento». I siti dove poi è sorta la gestione di Ecoambiente (gli invasi denominati S1, S2 ed S3, che hanno creato l’iniziale contaminazione del fiume e delle falde) prima erano gestiti da Indeco (proprietà Ecomont Srl), che inizialmente doveva procedere alla bonifica dei siti stessi. Già da allora doveva avere una fidejussione, cioè un’assicurazione per garantire la gestione post mortem e per lasciare il posto al sicuro.
Ma nessuno gliene ha chiesto conto. Anzi, con l’appoggio diretto dell’Amministrazione di Latina (Sindaco Ajmone Finestra), anziché chiudere per sempre quegli invasi, hanno ricominciato a scaricarci rifiuti. E l’ordinanza con cui il Presidente della Regione Nicola Zingaretti il 27 febbraio 2014 ha permesso di scaricare altra immondizia non trattata a Montello, nonostante i divieti europei e nazionali? Il 9 settembre scorso, la Regione Lazio ha rinnovato fino al 6/4/2018 l’autorizzazione alla discarica Indeco di Latina. Nonostante mancassero le garanzie finanziarie (6,7 milioni di euro) per rischi e danni ambientali. Carenze scoperte dalla Polizia, ma sfuggite alla Regione…
Il Comune di Latina ora chiede al Tar di annullare quell’autorizzazione. La società, sebbene in grave difetto, non ripara e dice che è colpa della bufera giudiziaria se ancora non fornisce quelle polizze, dice in soldoni “se mi autorizzate, dò le garanzie” e chiede una proroga.
E la Regione obbedisce: gli hanno dato altro tempo per depositare quelle polizze. Pazienza se il Comune, finalmente, urla che lì non vanno più interrati rifiuti perché l’area è stremata dai veleni. Lo stesso Comune che a dicembre 2013 spianò di nuovo la strada alla Ecoambiente con la farsa della perimetrazione.
27/03/2015