Una mamma tra le lacrime che per tenere i contatti con il figlio conserva le pagine dei giornali, una moglie sempre al telefono con senatori, ministri, ambasciatori, nella speranza di avere un aiuto e rivedere suo marito. Basta entrare nella casa al cui citofono compare il cognome Berardi, per accorgersi di cosa significhi avere un figlio recluso nel carcere della Guinea Equatoriale a migliaia di chilometri di distanza e sapere, tramite vaghe informazioni trapelate, che vive in una cella di due metri e mezzo per tre, che viene torturato, che ha contratto la malaria, che non gli passano neanche le medicine. Se questo quadro sarebbe inumano persino per i pluriomicidi, si pensi che Roberto Berardi, imprenditore di Latina che anni fa si è recato in Africa aprendo una ditta di pavimentazioni, è innocente. A dirlo non sono i familiari, sono le carte del processo dei giudici della California contro Teodorin, che si è svolto in America. Ma la Guinea Equatoriale è un regime dittatoriale in cui mettersi contro il potere comporta conseguenze talmente care che possono costare la vita.
COME SI È APERTO L’INFERNO
Per Roberto Berardi, 49 anni, l’inferno è iniziato quando il figlio del presidente Obiang gli ha chiesto di cooperare, gradendo l’operato già svolto dal latinense in Guinea Equatoriale. Dal momento che le leggi locali impongono come misura protezionistica che nel paese possano lavorare solo società partecipate dai locali, il pontino ha accettato. Nasce così la società che prende il nome di Eloba Construccion, il cui 60% delle quote è del potente Teodorin. Passa del tempo prima che vengono alla luce gravi questioni economiche. Berardi si accorge, quasi per caso, che esiste un conto parallelo da cui il suo socio preleva, a sua insaputa, enormi somme di denaro dal conto dell’azienda, che spedisce in America. Da qui l’inferno: davanti alla protesta di Berardi si aprono subito le porte del carcere «inizialmente per punizione» – spiega la ex dipendente «solo perché si era permesso di mancare di rispetto» e, in seguito, «viene formulata ufficialmente l’accusa di frode fiscale. In pratica il reato di cui è stato vittima Roberto». Con queste accuse Roberto vive da un anno e mezzo in una cella, con un materasso per terra, la luce spenta, e senza poter ricevere in visita i familiari. Da sei mesi, poi, è in isolamento senza una concreta spiegazione. Non ha neanche diritto ad un’ora in cortile. Dopo varie pressioni l’ambasciatore Stefano Pontesilli è riuscito a far effettuare un’unica visita da un medico militare e lo stato di salute di Roberto è risultato grave: ha contratto la malaria e rischia la vita. Nonostante le sue condizioni non siano compatibili con lo stile di vita del carcere non sono in programma cambiamenti. Tra 11 mesi, precisamente nel maggio del prossimo anno, Roberto dovrebbe poter uscire dal carcere e riabbracciare i suoi cari. Ma proprio giorni fa sono state formulate nuove accuse, che sembrano proprio create ad hoc per aumentare la sua permanenza all’interno. Si svolgerà un nuovo processo e, per questo, i familiari apriranno a breve un conto chiedendo aiuto a tutti per contribuire alle spese legali. «Ha rubato talmente tanti soldi mio figlio – spiega la madre – che non possiamo nemmeno pagare l’avvocato».
TUTTE LE PORTE CHIUSE IN FACCIA
Intanto, i familiari dell’imprenditore hanno bussato a tutte le porte. Ministri affari esteri, ambasciatori, arcivescovi, senatori, persino il Papa. La madre e la moglie di Roberto parlano di porte chiuse in faccia da tutte le parti, nel vero senso della parola. Alcune di queste importantissime persone, esponenti di poteri internazionali, non hanno nemmeno accettato di leggere le drammatiche parole di aiuto di una famiglia che da sola non può combattere alcuna guerra. Altre hanno presentato interrogazioni parlamentari con i più buoni propositi, finché la questione non è nuovamente scemata. Solo tre mesi fa, ad esempio, in risposta ad un’interrogazione presentata dal Movimento 5 Stelle il Ministero degli Esteri ha risposto: «la Farnesina continuerà ad adoperarsi affinché siano assicurate le condizioni detentive conformi agli standard di tutela dei diritti umani». Ma intanto, mentre le istituzioni si passano la palla, Roberto Berardi viene torturato per un reato che non ha commesso, mosso solamente dalla speranza di riuscire a tornare, vivo.
LE BELLE PAROLE, I POCHI FATTI
COMMISSIONE EUROPEA: Il Vicepresidente Ue Antonio Tajani ha assicurato: presto Berardi libero. L’on. Roberta Angelilli ha chiesto alla Commissione «se ritiene di intervenire, tenuto presente che un cittadino europeo è vittima di trattamenti disumani che violano la sua dignità, l’ integrità fisica e psichica, e la sua libertà e sicurezza».
FUNZIONARI E MINISTRI AFFARI ESTERI: prima il Ministro Bonino, poi Pambianco, poi il vice Ministro Pistelli. Quest’ultimo ha rassicurato la cittadinanza sugli sforzi che sono stati fatti, e continueranno ad essere fatti, perché la detenzione avvenga nel rispetto dei diritti umani.
SENATORI: Simeoni, Vacciano e Grandi (M5S) hanno presentato interrogazioni parlamentari. Il Sen. Luigi Manconi (Pd) ha permesso alla moglie di sentirlo al telefono.
PAPA FRANCESCO: gli è stata consegnata una lettera in mano. «Le chiedo di parlare con il presidente Obiang, ricordandogli che essere clementi è un dovere di un buon Cristiano» ha scritto la madre. Tra i due c’è stato un incontro, ma ancora nessuna risposta alla famiglia Berardi.