Condanna definitiva per un imprenditore di Pomezia accusato di uno scarico abusivo su un terreno. L’11 febbraio 2011, nel corso di un controllo, la polizia giudiziaria scoprì che uno scarico di acque reflue di origine domestica, che doveva essere convogliato nel fosso Campo Ascolano, come previsto dall’autorizzazione data all’imputato dalla Provincia di Roma nel 2008, finiva sul suolo di un lotto di terreno confinante con quello dell’imprenditore. Quest’ultimo venne quindi denunciato e poi condannato dal Tribunale di Velletri a cinque mesi di arresto. Una sentenza confermata dalla Corte d’Appello di Roma e ora dalla Cassazione, che ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’imputato, condannandolo anche a pagare duemila euro alla Cassa delle Ammende, nonostante il procuratore generale Felicetta Marinelli avesse chiesto l’annullamento della sentenza per intervenuta prescrizione. L’imprenditore aveva sostenuto che non vi era stato alcuno scarico abusivo, ma semplicemente un tubo si era sfilato facendo finire i reflui sul terreno. Una versione dei fatti considerata però dai giudici “priva di riscontro”, visto che “dagli accertamenti era risultato che l’impianto era spento e che esisteva una tubazione che sversava direttamente nel fondo del vicino”. Il ricorso è stato quindi dichiarato dalla Corte di Cassazione inammissibile per “manifesta infondatezza e genericità dei motivi proposti”.
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