Davide e Francesco. 48 e 32 anni. Probabilmente sono diventati padre e figlio già la prima volta che si sono incontrati, in una comunità per minori non accompagnati di Roma. Davide era lì per svolgere volontariato tramite servizio civile e Francesco perché abbandonato alla nascita e “riportato indietro” dalla coppia che lo aveva adottato. È stato lì che è scattato qualcosa che ha trasformato il rapporto “lavorativo” nel legame indissolubile tra padre e figlio. Da qualche giorno, però, è tutto nero su bianco: il tribunale di Latina, con una sentenza storica e che fa giurisprudenza, ha permesso a Davide di adottare Francesco nonostante la loro poca differenza di età: appena 16 anni. La legge, infatti, impone che l’età di differenza tra padre e figlio adottivo maggiorenne sia di 18 anni, ma la sensibilità dei giudici e la pazienza di Davide hanno permesso di raggiungere il risultato.
Senza lasciare mai la mano di Francesco, Davide ha raccontato come è cambiata la loro vita. «Francesco è stato abbandonato alla nascita e non riconosciuto, a Pescara. A sei mesi è arrivato a Roma al Bambin Gesù dove è stato due anni. Dal 1989 è stato in una casa famiglia fino a quando non ci siamo conosciuti e nel 2013 è venuto a vivere con me a Latina. Io l’ho conosciuto mentre stavo finendo di studiare architettura, nel frangente del servizio civile del centro formazione professionale per ragazzi disabili, che ho svolto per tre mesi nella comunità dove stava lui, ma non con lui». Ironia della sorte, finito il progetto Davide è stato richiamato. «Facevo l’insegnante aggiunto per i ragazzi. Era finita lì, dopo di che mi hanno richiamato. Il presidente della comunità mi ha chiesto “Davide vuoi tornare a fare assistenza ad un ragazzo?”». Titubante perché non sicuro di avere le competenze per seguire un solo ragazzo con disabilità grave, è stato tranquillizzato. «“Prova”, mi ha detto. Ho provato… ed ecco qua. È iniziato come un lavoro e poi non lo era più. Se stavo una settimana senza di lui, mi mancava l’aria. Ci sono stati periodi sotto tesi che per quasi un mese non ci siamo visti ed è stato il finimondo, sia per lui che per me».
Quando si sono conosciuti Francesco aveva 12 anni. Davide, piano piano, ha iniziato a portarlo con sé a Natale, a Pasqua e alle altre feste comandate. Poi un weekend si ed uno no, poi tutti i weekend ed un mese d’estate. «Nel 2008 mi sono trasferito a Latina ed era massacrante: non stando più a Roma era difficile fare avanti e indietro. Era diventato pesante e costoso. Fortunatamente sono poi diventato amministratore di sostegno di Francesco ed ho trovato un giudice, una donna, molto pratico che mi ha detto che potevo portarlo a Latina perché era nei miei diritti. Quando Francesco aveva 27 anni, l’ho portato a Latina, trasferendo qui il suo fascicolo. Il percorso per arrivare all’adozione è durato un paio d’anni. In prima istanza l’adozione è stata rifiutata per il solo fatto che il giudice non aveva gli strumenti per farlo perché non c’era una legge che lo permetteva a causa del divario di età di 16 anni e non 18 anni. Poi la questione è stata spostata sul fatto che lui sì è maggiorenne, ma cognitivamente è un bambino e non sarà mai una persona capace di intendere e volere. Questo divario dell’età, dunque, non doveva essere ostativo. Da qui la sentenza, che fa giurisprudenza: è il primo caso in Italia».
A guardare Davide e Francesco, seduti l’uno accanto all’altro, sembra che siano seduti nella cucina di Latina da sempre. «Non c’è stato un momento preciso in cui dal rapporto lavorativo ho pensato all’adozione. È nato subito un sentimento che, nel corso del tempo, si è fatto più accentuato. L’adozione è solo la formalizzazione del legame che in uno stato di diritto tutela anche lui. Ma tra me e lui è nato qualcosa dal primo giorno». Casa di Davide è totalmente adeguata alle esigenze di Francesco: non ci sono barriere, c’è una vasca apposta per lui, un fasciatoio ed una tv sopra al letto che si può girare. «Una camera comune, ma funzionale. Presto faremo anche i lavori all’esterno nel giardino».
La vita di Francesco è cambiata completamente da quando è a Latina. «Le persone come Francesco vivono per stabilità affettiva, è in questo che è cambiata la sua vita. Le prime volte che lo riportavo nella casa dove era lui, al primo piano, iniziava a piangere appena vedeva le scale. Era terribile: andavo via col magone ogni domenica». Certo, su Latina Davide ha qualcosa da ridire. «Non si può andare in giro: marciapiedi, strade… un po’ in centro si cammina. Appena fuori è una giungla. A lui piace andare in giro: se non stesse in questa condizione, sono sicuro che sarebbe stato un camionista. Gli piacciono i camion e i viaggi. L’estate scorsa siamo stati in Trentino. Otto ore di macchina. Quello morto, arrivato su, ero io. A lui è piaciuto tantissimo».
Le giornate di Francesco sono molto organizzate: fino alle 15.30 sta al centro diurno comunale e fino alle 18.30 è seguito da alcuni operatori. Dalle 18.30 sta con il papà e con i familiari che lo aiutano. «Un consiglio? Avere tanta pazienza. Avere un figlio disabile non è semplice a livello burocratico e bisogna quasi quotidianamente lottare per far valere i suoi diritti. Avrei qualcosa da ridire anche riguardo al sistema dei centri diurni. Mi piacerebbe sapere di più su quali attività svolgono e che si concordassero con la famiglia dei progetti educativi che iniziano al centro e finiscono a casa. Francesco è molto recettivo e può fare tanto. Ad esempio, a casa, impastiamo la pizza e facciamo la pasta all’uovo. Con i suoi tempi e le sue modalità, guidato, riesce a farlo».
Bianca Francavilla
Foto: Augusta Calandrini