Una bomba è stata innescata sotto la sedia di chi ha comprato la casa in edilizia agevolata – convenzionata, a prezzo calmierato, cioè pagando meno rispetto ai prezzi di mercato.
Chi se l’è rivenduta può vedersi richiedere anche centinaia di migliaia di euro dalle persone alle quali l’hanno ceduta. La “colpa” sarebbe quella di aver chiesto più soldi di quelli pagati. In gergo è la regola del prezzo massimo di cessione: a settembre 2015, le sezioni unite della Corte di Cassazione hanno stabilito che vige il divieto di chiedere più del prezzo pagato. Non solo.
Tale divieto, hanno deciso i supremi giudici, è retroattivo, vale cioè anche per il passato. Una miriade di famiglie ha perso il sonno per questa sentenza, la numero 18135.
Ad esso è ispirato il nome del Comitato delle vittime di questo corto circuito giuridico. I presunti, ignari e involontari “micro-speculatori” sono circa 400mila solo a Roma, dove la bomba sta esplodendo. «La cifra media che ci chiedono quelli a cui abbiamo venduto è di 250mila euro», raccontano dal Comitato 18135. Eppure, non stava scritto da nessuna parte che era vietato rivendere a prezzo di mercato. L’unico vincolo noto era quello di aspettare almeno 5 anni. La stessa Cassazione, i Comuni, i notai, le agenzie immobiliari, cooperative, banche e costruttori mai prima avevano detto e fatto il contrario. Addirittura, nella Capitale il Comune dai primi anni 2000 rilasciava atti che attestavano che tali immobili potevano essere ceduti a chiunque a prezzo di mercato trascorsi cinque anni.
«Nel 2013 il Comune di Roma mandò una nota al Consiglio Notarile di Roma ribadendo lo stesso concetto», rammenta il Comitato 18135.
PROBLEMA IN TUTTI I COMUNI
La sentenza 18135, ribaltando la situazione, ha creato scompiglio. Addirittura chi ha comprato in seconda o terza battuta gli alloggi costruiti in edilizia agevolata-convenzionata può ora esigere la restituzione della differenza tra il prezzo liberamente pattuito con il venditore e il prezzo massimo di cessione.
Molti degli originari acquirenti oggi nel mirino, tra l’altro, avrebbero pagato a certi costruttori furbetti prezzi più alti di quelli massimi previsti dalla normativa. Spesso e volentieri in aree senza servizi. «I soldi ottenuti dalla vendita di quelle case – aggiungono dal Comitato 18135 – li abbiamo utilizzati per comprare un’altra casa a prezzo di mercato». Non si tratta insomma di spregiudicati squali della finanza o dell’immobiliare. Non a caso, requisito essenziale per il prezzo agevolato era ed è non avere altre case e un reddito contenuto. Il problema non riguarda solo Roma, ma tutti i Comuni in cui sono stati realizzati alloggi con piani di edilizia agevolata o convenzionata. Parliamo dei Peep, piani per l’edilizia economica e popolare, e dei Piani di Zona realizzati anche con fondi pubblici (legge 167 del 1962). Cosa ben diversa dalle case popolari, che i proprietari possono “riscattare” e rivendersi a qualsiasi prezzo senza problemi.
C’È L’AFFRANCAZIONE, MA C’È CHI NON SI ACCONTENTA
Una via d’uscita può essere l’affrancazione, ma solo per chi ancora non ha venduto l’alloggio comprato a prezzo agevolato o comunque per l’attuale proprietario. Ciò elimina l’obbligo del prezzo massimo versando al Comune la somma stabilita dal Comune stesso, in base ai criteri di legge. A Roma, per esempio, in linea di massima si va da circa 5mila ai 50mila euro.
A pagare è chi aveva comprato a prezzo agevolato. Se ad es. Mario, attuale proprietario, ha comprato da Giuseppe che aveva inizialmente pagato il solo prezzo agevolato, ci si mette d’accordo e si chiude la partita. Giuseppe paga l’affrancazione e Mario potrà rivendere a prezzo di mercato, senza gettare sul lastrico Giuseppe. Ma c’è chi non si accontenta e pretende la differenza tra il prezzo calmierato e quello che lui ha pagato. Solleticata da certi avvocati, è partita una sorta di caccia al venditore “beneficiato in edilizia agevolata”. Un grasso business a Roma, dove sono 130 i Piani di Zona edificati.
PER “GIUSTIZIA SOCIALE”, SI CREA GUERRA SOCIALE
Chi chiede la restituzione della differenza tra prezzo agevolato e prezzo di mercato è enormemente avvantaggiato. Gli basterà pagare l’affrancazione e potrà rivendere la casa al prezzo che vuole! Morale: per fare giustizia, a tutela di “una politica del diritto volta a garantire il diritto alla casa […] ai ceti meno abbienti”, come afferma la Sentenza 18135, si è creato un caos e un conflitto sociale che rischia di impoverire centinaia di migliaia di famiglie e di alimentare speculazioni e abusi. A Roma, caso emblematico del pasticciaccio tra toghe e mattoni, l’Amministrazione comunale sta cercando di arginare il problema con un’apposita delibera che rimetta ordine.
I primi di ottobre contano di votarla in Consiglio comunale. Lo annuncia a Il Caffè Donatella Iorio, presidente della Commissione urbanistica capitolina, che ha discusso il tema il 26 settembre: «In sostanza la nuova delibera prevede due formule di calcolo molto chiare, semplici e trasparenti: saranno consultabili sul sito internet del Comune. Abbiamo abbassato gli importi delle affrancazioni: porteremo la soglia minima dagli attuali 5mila a 2.500 euro. Stiamo anche valutando la possibilità di rateizzare il pagamento dell’importo». Per chi è ragionevole, il nuovo schema di calcolo comunale potrà essere un indice di riferimento tra venditori e acquirenti.
Per altri, resterà la presunta giustizia della sentenza 18135. In attesa che arrivi una nuova e limpida norma di legge. «Cerchiamo sponda in parlamento e governo per cambiare la legge – chiosa Donatella Iorio – almeno per renderla più chiara e non suscettibile di interpretazione». Infatti, al contrario della Cassazione, ad aprile scorso il Tribunale di Roma ha dato ragione a chi aveva rivenduto a prezzo maggiore di quello agevolato, stabilendo che deve pagare la sola affrancazione.