Istituzioni, analisti più o meno ambientali, politici tirano un sorso di sollievo e annunciano che la crisi idrica è scongiurata. Un ricordo ancora bollente, specialmente per i romani e per chi vive sui Colli Albani e sui Monti Lepini tra Sezze e dintorni, nel sud pontino, ma anche in città come Aprilia e Latina che nell’estate 2017 se la sono vista brutta. La situazione non è drammatica come allora. Ma appare farsesca: l’acqua c’era e c’è. Basta e avanzerebbe, se solo non la facessero perdere nelle reti. Ma i gestori, in combutta con gli Enti pubblici, continuano a puntare su progetti a dir poco singolari. Da quando si sono aggiudicate la gestione dei servizi idrici tra Roma e Latina, Acea e Acqualatina hanno preso impegni ben precisi. Con i noti esiti. Ora gestori idrici e istituzioni esprimono “cauto ottimismo”. Merito soprattutto delle aumentate piogge rispetto al 2017. Ma non c’è da cantar vittoria. Il CNR – Istituto di Ricerca sulle Acque, nell’ultimo incontro dell’Osservatorio permanente sugli utilizzi idrici focalizzato sulla siccità, avverte: esaminando l’indice delle quantità di piogge SPI “a 24 mesi si è ancora sotto la media” e non c’è ancora “un completo recupero delle condizioni idrologiche di normalità”. Di normalità nelle gestioni, invece, non si può parlare.
L’ACQUA C’È, MA NON SANNO PORTARCELA A CASA
Nell’intero Lazio – dati Istat alla mano – si perdono 514 miliardi e 197 milioni di litri d’acqua potabile in un anno: è il dato che si ricava dall’ultimo censimento delle acque ad uso civile. Un volume sufficiente a garantire ad ogni cittadino laziale i 150 litri al giorno previsti dalla normativa nazionale (Dpcm 4/3/1996). Acqualatina dichiara di immettere in rete 126 milioni di metri cubi in un anno: divisi per i circa 690mila abitanti del suo territorio, fa 499 litri al giorno a testa. Peccato che ne risulti arrivata ai rubinetti solo il 30%, circa 141 litri al giorno a testa, in media. Ad alcuni ne arriva meno o non arriva proprio. Idem nel feudo Acea Ato2: a Roma e provincia, dei 361 milioni di metri cubi pompati nei tubi in un anno, poco più della metà arriva agli utenti. Ciò si traduce in 253 litri al giorno per ognuno dei circa 3,9 milioni di abitanti dell’area servita. Ma la quantità effettivamente giunta a destinazione è in media di 134 litri a testa, considerando la percentuale di perdite al 46,9% fornita dall’Istat nell’ultimo censimento idrico.
I VERI MOROSI E”ˆINADEMPIENTI
Dunque, nelle condotte in mano ad Acea Ato2 e Acqualatina arriva acqua in abbondanza, anche quando fa tanto caldo e piove poco. Eppure, non sono garantiti i 150 litri al giorno per abitante che da 22 anni la legge nazionale fissa come dotazione minima da assicurare alla popolazione. Ancora più grave è il paradosso se guardiamo la normativa regionale, che imporrebbe 320 litri al giorno a persona. Lo prevede il Piano regolatore generale degli acquedotti del Lazio, aggiornato ben 14 anni fa e che porta anche la firma della Facoltà di Ingegneria idraulica della Sapienza di Roma. “In ogni appartamento la totale dotazione giornaliera di acqua per uso potabile e domestico non dovràÌ€ essere inferiore a litri 200 per abitante”, dice la Convezione di gestione, cioè il contratto coi Comuni, firmata da Acea Ato2. Invece Acqualatina aveva inizialmente previsto 175 litri. Poi nel 2008, hanno modificato la Carta dei servizi riducendo la dotazione minima a 150 litri giornalieri. A cosa è servito tutto questo tempo? Si fa presto a staccare l’acqua, anche contro la legge e magari con tariffe gonfiate, con certi politici e fare da palo. Ma finora non sono stati capaci di sistemare le reti colabrodo. Ecco perché è strana la strategia Acqualatina di scavare nuovi pozzi.
LE “SOLUZIONI” DI ACEA: BEVETEVI IL TEVERE
Il pezzo forte di Acea Ato2 è il ‘potabilizzatore’ di Grottarossa, a Roma nord. “Indispensabile”, “tra gli interventi più positivamente impattanti”, afferma la multinazionale romana comandata in realtà da Parigi, l’impianto tratterà 43mila metri cubi al giorno di acqua del Tevere con filtri a carboni attivi, per poi portarla nelle case dei romani e degli abitanti di altri 111 Comuni della provincia, inclusi i Castelli Romani e Pomezia. Città quest’ultima dove la popolazione ha ingaggiato una lotta senza quartiere con Acea, subentrato a gennaio 2017 con aumenti del 60% l’anno, tariffe denunciate come “gonfiate” anche innanzi alla Procura di Velletri, distacchi selvaggi. Costo stimato per il ‘potabilizzatore’: 12,7 milioni di euro. Avevano promesso che sarebbe stato pronto per luglio ai 35 sindaci o loro delegati che hanno votato “sì” all’iniziativa. Nella citata riunione dell’Osservatorio sugli usi idrici, il 17 maggio scorso, Acea ha affermato che si prevede di completarlo “entro settembre”. Adesso, si parla di fine 2018. L’avevano lanciato come soluzione proprio nei mesi estivi… Il progetto è stato vagliato e deciso in soli 121 giorni, con l’ok del Comune di Roma e della Regione in primis, ma pure di altri 34 Comuni e dell’Asl Roma2. Però i lavori li hanno assegnati prima che venisse espressa degli Enti coinvolti la decisione definitiva e nonostante il Piano regionale di tutela delle acque vieti di utilizzare i fiumi che ricevono scarichi industriali – come il Tevere – per ricavarne acqua a fini potabili. Chi garantirà la qualità e sicurezza di tale acqua ‘potabilizzata’? Gli stessi che garantivano che l’arsenico non era un grosso problema, traccheggiando di deroga in deroga e che continuano a non pubblicare i dati…
E”ˆLE”ˆSOLUZIONI”ˆDIACQUALATINA…
Dopo i dissalatori a Formia, abortiti a furor di popolo, e quello a Ventotene dove pare che l’acqua arrivi giallognola nelle case per via del Ph che scrosta le tubature, la genialata di Acqualatina si chiama acquedotto di Cellole. Intercettare in Campania, nel casertano, l’acqua del fiume Gari che arriva da Cassino (senza aver coinvolto questo Comune), captandola a Cellole. Quindi rispedirla con una nuova condotta a Minturno, nel sud pontino, tra le zone più colpite dai disservizi idrici. Costo previsto: 7 milioni. «Un’assurda triangolazione, che si poteva benissimo evitare rendendo efficienti le reti, in un contesto dove la crisi dell’estate 2017 era prevedibilissima e che ha disvelato il grande bluff di Acqualatina. Dei 70,1 milioni d’investimento promessi fino al 2032 per il recupero delle dispersioni idriche, ne sono stati spesi solo 10,6 in quindici anni di gestione», spiega l’ing. Marcello Di Marco, che ha elaborato una dettagliatissima analisi sull’emergenza idrica nell’area sud della provincia di Latina. «Con una rete che al posto di perdere il 68% avesse perso anche “solo” il 55% – ragiona il tecnico -, non ci sarebbe stata crisi idrica né ci sarebbe il rischio che si verifichi nuovamente: alla base c’è la mancata prevenzione. La siccità è stata soltanto la causa scatenante. Non a caso su questo sta indagando la Procura della Repubblica di Cassino». Nessuno sembra ricordarlo o saperlo: era già previsto nel 2002 di prendere l’acqua del Gari, ma con meno km di condotta e minori costi. L’idea era stata proposta da tecnici privati, che avevano analizzato la situazione, alla cordata che si aggiudicò la gestione Acqualatina. Fu scartata. Per ripescarla oggi, ma con molti più tubi ed euro da metterci. Poi uno si domanda come si arriva ad altri 150 milioni chiesti dal gestore -per nuovi pozzi eccetera -, oltre i 296 milioni previsti nel Piano di investimenti iniziale. Quando l’affare sarà pronto, brinderanno con l’acqua del Tevere?