La bella parete di pannelli solari non basta fare verde la Regione Lazio. La facciata fotovoltaica è stata lo scenario del nuovo, spettacolare blitz di Greenpeace: gli attivisti dell’associazione ambientalista hanno scalato il palazzo della Giunta regionale del Lazio e vi hanno steso un poster gigante raffigurante la facciona del Presidente Zingaretti con mascherina anti-smog e la scritta “Aria pulita ora!”.
Estremo tentativo per avere un riscontro dal palazzo trilobato tutto vetri e cemento, sulla via Colombo, il 30 maggio scorso.
Bersaglio dello striscione, opera dell’artista Tvboy, sono l’ignavia e il record laziale di polveri sottili – Roma in testa – a livelli tanto preoccupanti che il Lazio è stato inserito recentemente tra le aree in cui le autorità non hanno presentato misure credibili, efficaci e tempestive per ridurre l’inquinamento entro i limiti il prima possibile. Così ci ha bollato la Commissione europea nel deferire l’Italia alla Corte di Giustizia europea. La stessa Corte alla quale il Tribunale amministrativo del Lazio lo scorso aprile ha trasmesso il caso Sblocca Italia – inceneritori: l’operazione del governo Renzi (Gentiloni ha lasciato in piedi il piano) per imporre al Paese una nuova ondata di mega-forni (due a Roma Malagrotta, uno aggiuntivo a San Vittore in Ciociaria e un quarto gigantesco in luogo da definire) per bruciare i rifiuti, anziché riciclarli come prevedono le normative nazionale, dal 2006, e comunitaria, dal 1975. A far scattare il pacifico assalto al palazzo regionale è l’immobilismo dell’Ente, che non ha ancora un nuovo e serio Piano di risanamento per la qualità dell’aria, come impone la direttiva europea 50 del 2008, recepita in Italia nel 2010. La Regione Lazio deve mettere in pratica una precisa strategia, con azioni concrete capaci di riportare l’inquinamento atmosferico nei limiti di legge prima possibile.
«Tutto ciò non c’è nell’attuale Piano regionale del Lazio del 2009, mai aggiornato secondo la nuova normativa e ormai assolutamente carente e inadeguato. In particolare – ci spiega Andrea Boraschi, responsabile campagna trasporti di Greenpeace – devono affrontare il problema del biossido di azoto, un cancerogeno di cui sono responsabili per circa l’80% i motori diesel, e che ogni anno in Italia causa oltre 17 mila morti premature. A Roma il risultato dell’inerzia regionale è il superamento dei limiti di legge per il biossido di azoto anche del 50%. Il comportamento della Regione, che neppure si è degnata di rispondere in maniera adeguata alla nostra lettera di diffida, è deplorevole», affonda Boraschi, riferendosi alla lettera che hanno inviato alla Regione il 19 febbraio scorso. La scalata del palazzo sulla Colombo è stato l’unico modo per stanare i signori della Regione. Ma non finisce qui: Greenpeace ha annunciato di presentare un esposto penale alla Procura della Repubblica per denunciare la mancata adozione del Piano antismog. Dai piani alti del palazzone trilobato tutto vetro e cemento è sceso il vicepresidente Massimiliano Smeriglio. Del resto questo pezzo grosso vanta un master in comunicazione. Squarciata la cortina di smog politico – istituzionale, poco dopo gli attivisti di Greenpeace sono stati ricevuti da lorsignori: «Abbiamo incontrato l’Assessore regionale all’agricoltura e ambiente, Enrica Onorati, il Segretario Generale Andrea Tardiola e altri funzionari della Regione: non hanno negato le nostre pesanti accuse e ci hanno detto che ci mostreranno cosa hanno fatto finora per arrivare al nuovo Piano antismog», racconta Boraschi. Greenpeace non ha presentato l’esposto contro la Regione Lazio. Ma non è detto che resti nel cassetto. «Non esiteremo a rivolgerci ai giudici per proteggere il diritto di tutti a respirare un’aria pura, come abbiamo già fatto con successo in tante altre aree d’Europa – conclude Andrea Boraschi -. anche perché questa campagna la facciamo con Client Earth, associazione di avvocati. Se ci saranno cose buone, torneremo sotto la Regione per applaudire». La facciona di Zingaretti con la mascherina è stata rimossa. Ora va tolta la maschera.
Estremo tentativo per avere un riscontro dal palazzo trilobato tutto vetri e cemento, sulla via Colombo, il 30 maggio scorso.
Bersaglio dello striscione, opera dell’artista Tvboy, sono l’ignavia e il record laziale di polveri sottili – Roma in testa – a livelli tanto preoccupanti che il Lazio è stato inserito recentemente tra le aree in cui le autorità non hanno presentato misure credibili, efficaci e tempestive per ridurre l’inquinamento entro i limiti il prima possibile. Così ci ha bollato la Commissione europea nel deferire l’Italia alla Corte di Giustizia europea. La stessa Corte alla quale il Tribunale amministrativo del Lazio lo scorso aprile ha trasmesso il caso Sblocca Italia – inceneritori: l’operazione del governo Renzi (Gentiloni ha lasciato in piedi il piano) per imporre al Paese una nuova ondata di mega-forni (due a Roma Malagrotta, uno aggiuntivo a San Vittore in Ciociaria e un quarto gigantesco in luogo da definire) per bruciare i rifiuti, anziché riciclarli come prevedono le normative nazionale, dal 2006, e comunitaria, dal 1975. A far scattare il pacifico assalto al palazzo regionale è l’immobilismo dell’Ente, che non ha ancora un nuovo e serio Piano di risanamento per la qualità dell’aria, come impone la direttiva europea 50 del 2008, recepita in Italia nel 2010. La Regione Lazio deve mettere in pratica una precisa strategia, con azioni concrete capaci di riportare l’inquinamento atmosferico nei limiti di legge prima possibile.
«Tutto ciò non c’è nell’attuale Piano regionale del Lazio del 2009, mai aggiornato secondo la nuova normativa e ormai assolutamente carente e inadeguato. In particolare – ci spiega Andrea Boraschi, responsabile campagna trasporti di Greenpeace – devono affrontare il problema del biossido di azoto, un cancerogeno di cui sono responsabili per circa l’80% i motori diesel, e che ogni anno in Italia causa oltre 17 mila morti premature. A Roma il risultato dell’inerzia regionale è il superamento dei limiti di legge per il biossido di azoto anche del 50%. Il comportamento della Regione, che neppure si è degnata di rispondere in maniera adeguata alla nostra lettera di diffida, è deplorevole», affonda Boraschi, riferendosi alla lettera che hanno inviato alla Regione il 19 febbraio scorso. La scalata del palazzo sulla Colombo è stato l’unico modo per stanare i signori della Regione. Ma non finisce qui: Greenpeace ha annunciato di presentare un esposto penale alla Procura della Repubblica per denunciare la mancata adozione del Piano antismog. Dai piani alti del palazzone trilobato tutto vetro e cemento è sceso il vicepresidente Massimiliano Smeriglio. Del resto questo pezzo grosso vanta un master in comunicazione. Squarciata la cortina di smog politico – istituzionale, poco dopo gli attivisti di Greenpeace sono stati ricevuti da lorsignori: «Abbiamo incontrato l’Assessore regionale all’agricoltura e ambiente, Enrica Onorati, il Segretario Generale Andrea Tardiola e altri funzionari della Regione: non hanno negato le nostre pesanti accuse e ci hanno detto che ci mostreranno cosa hanno fatto finora per arrivare al nuovo Piano antismog», racconta Boraschi. Greenpeace non ha presentato l’esposto contro la Regione Lazio. Ma non è detto che resti nel cassetto. «Non esiteremo a rivolgerci ai giudici per proteggere il diritto di tutti a respirare un’aria pura, come abbiamo già fatto con successo in tante altre aree d’Europa – conclude Andrea Boraschi -. anche perché questa campagna la facciamo con Client Earth, associazione di avvocati. Se ci saranno cose buone, torneremo sotto la Regione per applaudire». La facciona di Zingaretti con la mascherina è stata rimossa. Ora va tolta la maschera.
07/06/2018