«Caro direttore, dopo una brutta esperienza al Santa Maria Goretti di Latina non ho potuto fare a meno di scriverle una lettera per denunciare tutto il mio disappunto in merito al reparto di Pronto Soccorso dell’ospedale. Badi bene, non ai medici, agli infermieri e ai portantini che sono anch’essi vittime non solo di una battaglia impari di numeri di accessi (a volte non motivati da reali motivi di urgenza ma- va detto – da un’oggettiva mancanza di strutture alternative funzionali) e da procedure che spesso appaiono fuori dai principi non solo dell’efficienza ma anche della logica». A scrivere alla redazione del Caffè è un lettore, finito al pronto soccorso dell’ospedale di Latina ed uscito dopo una nottata passata in condizioni ai limiti della decenza. La sua testimonianza è utile per capire cosa accade aldilà della porta riservata ai pazienti, dove i parenti la maggior parte delle volte non possono entrare. Uno sguardo dall’interno dell’ospedale che è sulla bocca dei politici durante ogni campagna elettorale comunale, regionale e nazionale serve a capire come girano le cose e da che parte non funzionano. «Entrare in pronto soccorso – scrive il lettore – è sempre una brutta esperienza e il mio caso, fortunatamente solo doloroso ma non pericoloso per la mia vita, non fa ovviamente eccezione. Ma volevo potare all’attenzione della vostra redazione non solo i ben noti disagi, quelli che spesso vediamo immortalati in immagini imbarazzanti di barelle lasciate nei corridoi e di racconti di attese infinite che a volte hanno perfino messo in pericolo la vita dei pazienti. Né posso dare la mia opinione in maniera attendibile e professionale sul perché ho dovuto aspettare un’intera notte solo per una lastra con dolori spesso acuti, quando la stanza dei raggi X si trova nello stesso corridoio dove vengono ammassate a decine le barelle di chi attende e nonostante per ore ed ore mi sia stato detto che c’erano “solo due pazienti” prima di me. Per quanto delicato sia il compito del radiologo, questo però si svolge insieme al paziente per pochi minuti e la stanza è invece rimasta per lunghissime ore chiusa e priva di attività. Né posso dare spiegazioni sulle procedure che sembrano lunghissime anche ad un profano. Posso però testimoniare ragionevolmente su un fatto che al di là dei consueti disagi non credo sia stato descritto con il risalto che merita e che ci consegna un quadro assai desolante di degrado e di chiara difficoltà della struttura di fare fronte alle necessità della popolazione». Il paziente racconta dove si è inceppata la catena. «Una volta superato – continua – lo scoglio dell’accoglienza (dall’ingresso alla sala d’aspetto interna possono passare infinite ore spesso in situazioni di estremo disagio) si accede finalmente alla prima visita dove, dopo tanto tempo passato, finalmente un medico può visitare un paziente e fare una valutazione più chiara sulle sue condizioni. Si viene condotti in una stanza che ad occhio potrà contenere meno di una decina di barelle, forse una dozzina a pieno regime. Al mio ingresso erano ben più di venti. Uomini e donne, alcuni semi-nudi, spesso molto anziani e a malapena coscienti. Altri doloranti o semplicemente addormentati. Alcuni – come ho avuto modo di scoprire poi – erano lì da giorni interi. Il medico di turno cerca di fare chiarezza di fronte alle decine di cartelle di fronte a lui e insieme ad un infermiere finalmente fa la visita che viene svolta sul posto, di fronte agli occhi di tutti gli altri pazienti. Una specie di visita-spettacolo alla faccia della privacy e della dignità dei pazienti che sono là riuniti in semicerchio intorno all’unica branda lasciata vuota per l’occasione e uno alla volta visitati». Insomma, un’esperienza che resta certamente impressa a chi si trova costretto ad essere visitato in tali condizioni, non certo degne dell’ospedale del Capoluogo pontino. «Già solo questo fatto – conclude il lettore – potrebbe essere riassuntivo. Certo, le poche risorse (più di qualche infermiere incitava i pazienti a “ringraziare Zingaretti” per le inefficienze), certo i molti accessi, certo le difficoltà. Ma a procedure contro la logica e la decenza si dovrà pur arrivare a porre un argine. Di fronte a questo spettacolo che credevo riservato solo ai nosocomi di paesi in via di sviluppo e che invece per alcuni appaiono inevitabili mi domando come sia possibile che una struttura per altro riadattata molto di recente a caro prezzo, possa essere ancora talmente inadeguata per chi soffre, per chi cerca cura e per chi cerca di curare le persone. Nell’augurare un buon lavoro a lei e alla redazione vorrei solo aggiungere l’invito per altri cittadini/lettori a non abituarsi a questo andamento di cose. A raccontare i fatti affinché non diventi prassi anche l’assurdo».
26/04/2018