La Prefettura aveva preso la decisione per un motivo ben preciso: una situazione conflittuale tra l’uomo e sua moglie, “che ha determinato quest’ultima a sporgere tre querele – si legge nel ricorso – per i reati di minaccia e lesioni, alle quali sono stati allegati certificati medici: il 27 ottobre 2010 presso la stazione dei Carabinieri di Lanuvio, il 28 ottobre 2010 presso la stazione dei Carabinieri di Aprilia ed il 29 ottobre 2010 presso il Commissariato di Cisterna di Latina”. A seguito di quell’ordinanza prefettizia, l’uomo ha dovuto necessariamente cedere tutte le armi in suo possesso a “persona non convivente”.
Il ricorso è stato presentato nel 2011 ma solo in questi giorni è stato discusso. Secondo il ricorrente, “il pericolo di abuso delle armi dovrebbe essere comprovato e richiederebbe un’adeguata valutazione, non già del singolo episodio, ma della personalità del soggetto sospettato, che possa giustificare un giudizio prognostico sulla sua sopravvenuta inaffidabilità, non potendo la mera denuncia all’Autorità giudiziaria, in presenza di situazioni di litigio tra i coniugi per ragioni di separazione, giustificare un provvedimento di divieto di detenzione di armi”. Peraltro, il ricorrente ha anche sottolineato che le querele erano state ritirate da parte della moglie.
Ma il Tar è di opinione diversa: ritiene che il Prefetto possa revocare il porto d’armi anche in caso di “supposta inaffidabilità del soggetto detentore” e “potenziale di mero pericolo di lesione”. Non solo: “la remissione delle querele in alcuni casi potrebbe addirittura scaturire da minacce del querelato”.
Risultato: ricorso respinto. Dopo la strage di Cisterna del 28 febbraio scorso, quando un carabiniere ha ferito la moglie, ucciso le figlie e si è sparato, a maggior ragione ogni decisione presa sull’utilizzo delle armi viene pesata in maniera attenta, senza lasciare nulla al caso.