Il giovane, all’età di 18 anni, a Capoportiere, nel corso di un litigio con il padre uccise il genitore, colpendolo alla testa con una tavola di legno trovata sull’arenile. Riuscì subito a ottenere i domiciliari e, condannato in primo grado a 14 anni di reclusione dal giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Latina, Laura Matilde Campoli, l’imputato ottenne in appello la riduzione della pena a 8 anni, che la Suprema Corte ha poi portato a sette e mezzo. Inutili i tentativi della difesa di provare a battere sui tasti della provocazione e della legittima difesa. L’accusa di omicidio volontario ha retto. Due anni fa, mentre era all’università, Canò venne quindi prelevato dalla Polizia e condotto in carcere.
I difensori hanno poi chiesto al Tribunale di Sorveglianza di concedere al giovane l’affidamento in prova ai servizi sociali per scontare la pena residua. L’istanza però è stata respinta il 24 febbraio dell’anno scorso e tale provvedimento è stato appunto ora confermato dalla Cassazione, respingendo il ricorso di Canò. Per i giudici il 23enne “non ha ancora intrapreso un percorso di rivisitazione critica della condotta deviante, necessario anche per la gestione della propria aggressività, tanto che è stata reputata opportuna una prosecuzione dell’osservazione intramuraria con continuazione dei colloqui con l’educatore e lo psicologo, nonché una verifica esterna mediante l’esperienza dei permessi premio”. Ricorso inammissibile, condanna al pagamento delle spese processuali e versamento di duemila euro alla cassa delle ammende.