Avrebbe omesso le dichiarazioni dei redditi Irpef per gli anni d’imposta dal 2010 al 2014, sostenendo davanti alla Guardia di finanza di aver percepito, tra il 2012 e il 2014, soltanto un reddito modesto da una scuola professionale di Pomezia. Reddito che le Fiamme gialle hanno comunque specificato non essere stato dichiarato. Gli investigatori hanno poi sottolineato che in quel periodo il 50enne ha ricoperto diverse cariche sociali, ha abitato in una villa lussuosa da 22 vani, di proprietà di una società immobiliare, ha utilizzato auto di grossa cilindrata, tra cui una Ferrari F430, ha acquistato, solo nel 2014, quote societarie per 329mila euro, ha movimentato su vari conti correnti oltre due milioni di euro e ricevuto somme relative a debiti di gioco d’azzardo, oltre a risultare intestatario di numerosi terreni in provincia di Catanzaro. Un quadro che contrasta con quello di un uomo che sarebbe andato avanti con uno stipendio misero. Gli inquirenti hanno poi battuto sull’attività illecita che avrebbe gestito Giuseppe L., confermata da diversi testimoni. Una casa da gioco d’azzardo clandestina, ricavata all’interno di un B&B di Ardea.
La difesa del 50enne, nel ricorso presentato alla Suprema Corte, ha sostenuto che i giudici avrebbero basato il provvedimento di sequestro su presunzioni fiscali, elementi ricavati dall’Agenzia delle entrate, che non possono trovare spazio sul fronte penale, che non possono essere tassati i 130mila euro relativi ai debiti di gioco, e che comunque il sequestro sarebbe stato eccessivo rispetto alle somme contestate, considerando anche che soltanto due immobili a Nemi avrebbero il valore di 312mila euro e un immobile a Pomezia, a cui non sono stati messi i sigilli ma che di fatto sarebbe nella disponibilità della Procura, avrebbe un valore di oltre due milioni di euro. La Cassazione, come in precedenza il Riesame, ha invece ritenuto corretto il provvedimento ed evidenziato che tra conti correnti, quote societarie, assegni bancari e un orologio Rolex bloccati, sarebbe stato sequestrato molto meno della somma da sottoporre a eventuale confisca, fermandosi il valore di tali beni a 123.737 euro. Il ricorso è stato così dichiarato inammissibile dalla Suprema Corte e i sigilli confermati.