I SOLDI PER IL RICICLO CI SONO
“Grazie a te che separi gli imballaggi e al Comune che li raccoglie, Conai fa rinascere l’acciaio, l’alluminio, la carta, il legno, la plastica e il vetro”, dice il Decalogo del Consorzio nazionale per il recupero per gli imballaggi, al quale va ogni anno un fiume di soldi grazie al contributo ambientale pagato su ogni barattolo, scatola, bottiglia, vassoio, contenitore immesso in commercio. Una gabella che ha generato oltre 606 milioni solo nel 2016, quasi 16 trattenuti e il resto distribuito alle filiere. Il grosso va alla plastica: i dati più aggiornati ci dicono che nel 2016 il Corepla, l’apposito consorzio per il riciclo delle plastiche, ha preso oltre 367 milioni e 600mila euro di contributi ambientali e che la raccolta delle plastiche è stata del 6,9% in più rispetto al 2015.
NE BRUCIANO QUASI LA METÀ
Ma il 42,2% della plastica recuperata, cioè circa 450mila tonnellate, è stato bruciato negli inceneritori. Ma com’è possibile che tutti questi materiali siano così impuri – ossia sporchi, intaccati comunque inadatti al punto da non poter essere più reimmessi nei cicli produttivi – da dover finire in fumo per produrre un po’ di energia, con emissioni inquinanti e pesanti costi sulla salute pubblica? Si dà la colpa al fatto che molta plastica da riciclare resta invenduta, ma appare molto più determinante un’altra verità: una volta costruiti, questi costosissimi ecomostri poi vanno fatti funzionare a tutti i costi per ammortizzare l’investimento. Tecnologie “intrinsecamente inefficienti”, come diceva Legambiente Lombardia nel 2013. Molti altri si ostinano a chiamarli con il furbesco e rassicurante nome di termovalorizzaori: parola che non esiste e non viene utilizzata in nessun altro Paese del mondo.
BRUCIATORI DI SOLDI PUBBLICI E DI SALUTE
Altro costo sono gli incentivi statali a questi mega forni, che così bruciano i soldi pubblici: mezzo miliardo di sussidi Cip6, ad esempio, per il gigantesco inceneritore che il gruppo Cerroni con Ama e Acea voleva fare ad Albano ma poi arenatosi tra inchiesta giudiziarie e soprattutto perché i cittadini sono riusciti a dimostrare che qui sussidi non gli spettavano più visto che il cantiere non era stato avviato entro il termine previsto dalla generosa Regione Lazio targata Marrazzo con un provvedimento poi finito sul tavolo dei magistrati della Procura della Repubblica di Roma.
SALUTE PUBBLICA IN FUMO
È invece sparito il programma ERAS Lazio, importante ricerca sulla salute di chi vive intorno agli impianti di trattamento dell’immondizia, comprese le cavie umane intorno ai due inceneritori di Colleferro e al megaforno di San Vittore (FR). Nel raggio di 7 km, “L’analisi della morbosità (cioè quanto ci si ammala, ndr) associata all’inquinamento prodotto dai termovalorizzatori dopo la loro entrata in funzione ha evidenziato, per i residenti di sesso maschile nelle zone ad alta esposizione, un eccesso di ospedalizzazioni per malattie dell’apparato respiratorio (+26%) e malattie polmonari cronico ostruttive (+86%).
Tra i bambini (0-14 anni) – dice la ricerca – si osserva un aumento dei ricoveri per cause naturali e malattie dell’apparato respiratorio a seguito della attivazione degli impianti nella zona ad alta concentrazione di PM10 (il particolato killer per il quale a Roma si impone il traffico a targhe alterne, ndr)”.
TRUFFA CIRCOLARE
Misure per rimediare? Dello studio ERAS Lazio sugli abitanti nelle aree dove si lavorano i rifiuti non si sa più nulla, Regione Lazio e Comune di Roma stanziano 9,3 milioni di euro per il cosiddetto revamping (la manutenzione) degli inceneritori di Colleferro e si incenerisce quasi l’età delle plastiche che diligentemente i sudditi termo-Svalorizzati separano e conferiscono con la differenziata. 7 milioni ce li mette la Regione e 2,3 il Comune di Roma attraverso l’AMA. A marzo 2009 i carabinieri sequestrarono l’impianto: scoprirono che ci si bruciava di tutto, fuori dalle regole, e che i dati sulle emissioni inquinanti venivano taroccati via internet da qualcuno in Toscana. Che fine ha fatto quell’inchiesta giudiziaria?
IL LAZIO ENTRERÀ IN EUROPA?
Ad aprile, il Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza i nuovi obiettivi per l’economia circolare, quella cioè che rimette in circolo le risorse anziché bruciare, buttare, sprecare: entro il 2030, bisognerà riciclare o preparare per il riuso almeno il 70% in peso dei rifiuti urbani e minimo l’80% dei materiali di imballaggio. La vera sfida non è più solo differenziare, ma dare nuova vita ai materiali fino a chiudere discariche e inceneritori. La proposta è in fase di negoziazione con il Consiglio d’Europa. È con discariche e inceneritori
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Dal 2018 la tassa sugli imballaggi sarà più bassa per quelli riciclabili
L’avvento della raccolta porta a porta ce lo fa vedere tutti i giorni: utilissima e onnipresente in tutti i prodotti che acquistiamo, la plastica ci ‘invade’. L’anno scorso, mediamente sono stati recuperati 15,8 kg di imballaggi per abitante in Italia, ma ce n’è ancora una marea da recuperare. Un aiutino all’economia circolare – che rimette in circolo le risorse anziché buttarle – arriva dai nuovi criteri per il contributo ambientale per gli imballaggi: non sarà più uguale per tutti i tipi di bottiglie, flaconi, pellicole così via, ma penalizzerà quelli non riciclabili. A pagare questa gabella sono produttori e utilizzatori degli imballaggi, al momento della immissione sul mercato. Ma in definitiva è sul consumatore finale che ricade.
DIFFERENZIARE? SÌ… ANCHE LA TASSA
Previsto nel 1998, il contributo ambientale nato per finanziare la raccolta differenziata, il riciclo e il recupero. Dal prossimo gennaio l’importo non sarà più unico (188 euro a tonnellata), ma sarà diversificato in tre fasce: più leggero, 179 euro a tonnellata, per gli imballaggi da commercio e industria selezionabili e riciclabili. Ma sale a 208 euro per quelli selezionabili e riciclabili dalla raccolta domestica. Mazzata per gli imballaggi che invece non si possono avviare al riciclo: 129 euro a tonnellata. Anche per quelli in carta l’anno nuovo porterà un aumento di questo contributo ambientale, che salirà da 4 a 10 euro a tonnellata, senza alcuna diversificazione.
UN BUON AUSPICIO
Si tratta di costi che sono ricaricati sul prezzo finale del prodotto imballato, cioè su tutti noi. Così accade pure con la cosiddetta ecotassa prevista nel 1995, che i gestori delle discariche pagano per la loro graduale chiusura. La novità del contributo diversificato si spera che incentivi la progettazione e l’impiego di prodotti sempre più riutilizzabili. Di sicuro, l’aumento del contributo obbligatorio per gli imballi non riciclabili ricadrà sull’ultimo anello della catena: il consumatore che fa la spesa. Si tratta di pochissimi centesimi per ogni confezione acquistata. Sarebbe però un bel segnale se lo “sconto” sul contributo per quelli green fosse trasferito anche ai clienti finali. Anche questa sarebbe economia circolare: reimmettere in circolo, a favore di tutti, i vantaggi di una legislazione che fa pagare meno a chi inquina meno.
Valide alternative alla plastica derivata dal petrolio sono una realtà. Sono polimeri fatti partendo dai vegetali e persino dagli scarti umidi dei rifiuti urbani, come riesce a fare una ditta emiliana. Tra una tassa e l’altra, certe lobby politico-affaristiche rallentano il decollo di tecnologie e strategie davvero sane, come è accaduto con la raccolta porta a porta, insistendo con discariche e inceneritori. Ma la strada appare imboccata, anche grazie a vari brevetti frutto della ricerca italiana. Una panoramica aggiornata su: www.ioacquaesapone.it “La plastica bio: si scioglie in acqua ed è italiana” (numero di luglio 2017).
Sono 9,3 i milioni di euro previsti per ristrutturare i due inceneritori di Colleferro (revamping), uno al 100% di proprietà della Regione Lazio attraverso Lazio Ambiente Spa e l’altro al 60% di Lazio Ambiente e al 40% del Comune di Roma attraverso AMA Spa. 7 milioni ce li mette la Regione e 2,3 AMA, cioè il Comune di Roma.
Altri 5,3 milioni per la discarica di servizio, sempre a Colleferro, dove interrare gli scarti degli impianti Tmb (preparano le balle da incenerire separando i materiali dell’immondizia non differenziata). Lo prevede il bilancio di previsione della Regione Lazio per l’anno 2017, varato a fine 2016. È la ricapitalizzazione della malandata Lazio Ambiente Spa. Una enorme iniezione di liquidità alla quale si aggiungono altri 300mila euro previsti per il “ramo servizi” (raccolta e spazzamento) della Spa regionale che doveva servire a far decollare una sana gestione dei rifiuti, verso l’economia circolare…
Francesco Buda