Una struttura datata, con spazi angusti per le attività di socialità e neanche un albero. Così si è presentato il carcere di Latina agli occhi dei volontari dell’associazione Antigone, che hanno effettuato un sopralluogo nei giorni scorsi. La presidente Paola Bevere ha toccato con mano le condizioni dei detenuti di via Aspromonte, costretti a stare anche in cinque dentro una cella. «La struttura – spiega la presidente – è degli anni ’30, quando ancora non era necessario prevedere aree per la collettività. Non si presta all’ampliamento perché è in una zona semi-centrale e intorno ci sono abitazioni». I 152 detenuti sono divisi tra due padiglioni: nell’area nuova alloggiano le donne e nell’area più datata gli uomini. «Data la limitatezza degli spazi – continua Bevere – è stato necessario unire “sacro e profano”: teatro e cappella sono nello stesso vano, con altare da una parte e palcoscenico dall’altra. Nella sezione femminile sono state ricavate a piano terra due stanze, di cui una senza finestre, per fare corsi di informatica, ceramica e cucito». Un aspetto che è saltato all’occhio degli osservatori è stata la mancanza di una qualunque forma di verde. Non è presente neanche un albero, un orto o un giardino come accade in molti altri penitenziari di Italia anche se di dimensioni ridotte. «Non è certo obbligatorio – continua la presidente -, ma immaginate cosa vuol dire trascorrere la propria ora d’aria in uno spazio di cemento». In via Aspromonte, inoltre, le attività trattamentali sono curate esclusivamente da volontari a causa della carenza di fondi e solo coloro che devono scontare una lunga pena lavorano. Non ci sono rapporti lavorativi con l’esterno perché non c’è offerta dal territorio e dei corsi presenti all’interno solo quello da ceramista rilascia un attestato. Il corso da pizzaiolo gestito dalla Caritas, ad esempio, non rilascia attestati.
B.F.
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16/11/2017