Il clan camorristico Mallardo si è allargato e ha fatto affari anche nelle province di Latina e Roma. A stabilirlo in via definitiva è stata la Corte di Cassazione, confermando le condanne inflitte a Giuseppe, Giovanni e Domenico Dell’Aquila, ritenuti dall’Antimafia parte dell’associazione per delinquere di stampo mafioso. I tre sono stati condannati rispettivamente a 21, 14 e 13 anni di reclusione. Una sentenza emessa nel 2014, al termine del processo denominato “Arcobaleno”, dal Tribunale di Napoli, confermata dalla Corte d’Appello e resa definitiva dalla Suprema Corte.
Per i giudici i Dell’Aquila erano parte di un’associazione di stampo mafioso impegnata nel controllo di attività economiche, anche attraverso la gestione monopolistica di interi settori imprenditoriali e commerciali e in particolare del settore edilizio, nell’ottenere illecitamente concessioni e di autorizzazioni amministrative, nell’acquisizione di appalti e servizi pubblici, nel controllo delle amministrazioni pubbliche, soprattutto a livello locale, nel reinvestimento speculativo, in attività imprenditoriali, immobiliari, finanziarie e commerciali degli ingenti capitali derivanti dalle attività criminali sistematicamente esercitate, ovvero estorsioni in danno di imprese affidatarie di pubblici e privati appalti e di esercenti attività commerciali, traffico di sostanze stupefacenti, usura ed altro. Un’organizzazione criminale in grado anche di assicurare impunità agli affiliati attraverso il controllo, realizzato anche con la corruzione, di organismi istituzionali, di affermare il controllo egemonico sul territorio, anche attraverso la contrapposizione armata con organizzazioni criminose nel tempo rivali e la repressione violenta dei contrasti interni, operando a Giugliano in Campania, Villaricca, Qualiano e allargatasi nel Lazio a Lariano, Anzio, Sabaudia, Terracina e Fondi.
In particolare Giuseppe Dell’Aquila, detto Peppe ‘o ciuccio, è stato inquadrato come esponente dell’organizzazione e gli altri due come affiliati, dediti in particolare all’organizzazione e allo sviluppo delle attività imprenditoriali necessarie per gli investimenti del sodalizio e per il reimpiego di provviste illecite, soprattutto nel settore immobiliare, tra Giugliano in Campania e nelle province di Napoli, Caserta, Roma, Latina, Bologna, Ferrara e Cosenza, dal 1994 all’aprile 2009. Domenico Dell’Aquila, tra l’altro, è stato ritenuto autore di intestazioni fittizie della New Auto 1 srl, società impegnata nel commercio di auto a Formia, per evitare confische. La Suprema Corte ha rigettato i ricorsi ritenendoli basati su motivi in parte inammissibili e in parte infondati.
Respinte le contestazioni sulle dichiarazioni dei pentiti Salvatore Izzo, Vincenzo De Feo, Raffaele Ferrara e Gaetano Vassallo. “Oltre alle dichiarazioni dei molteplici collaboratori di giustizia – sottolineano gli ermellini – i giudici di merito hanno valorizzato gli esiti delle attività di intercettazione e gli accertamenti di ordine patrimoniale, compiuti dal Gico della Guardia di Finanza e dal consulente tecnico dell’accusa, pervenendo, quindi, ad accertare, attraverso un’attenta disamina del copioso compendio probatorio, l’esistenza di una compagine camorristica, incentrata sui fratelli Giuseppe e Francesco Mallardo ed avente come uomo di vertice Dell’Aquila Giuseppe”. Un pronunciamento che rende definitive anche le confische dei beni dei Dell’Aquila.
Clemente Pistilli