Da una parte i regolari, dall’altra gli abusivi, in una sorta di apartheid autoprodotto. Ogni notte le forze dell’ordine vengono a portarsi via qualcuno, senza però riuscire a stroncare un fiorente smercio di cocaina e droghe leggere. Ma si parla anche di giri più inquietanti. È impressionante la quantità di immondizia abbandonata ovunque, eppure quando arriviamo alle Salzare ci sono almeno tre mezzi della ditta di igiene urbana, incaricata dal Comune di Ardea, che caricano chili e chili di rifiuti. «Ah, già. Tra un po’ ci sono le elezioni». In che senso? «Nel senso che queste cose le fanno una volta ogni cinque anni».
Parliamo prima con una ragazza di nemmeno trent’anni, che vive da sola in un appartamento della lunga schiera del “serpentone”. È alta e molto esile, indossa una giacca pesante di pelle nera. «Guarda che qui fino a due anni fa non era mica così», dice, e mostra una lettera dal titolo esplicito (“Situazione a rischio e pericolo ed estremo disagio abitativo”) che ha fatto firmare a sette persone, suoi vicini di casa, e che ha indirizzato al Prefetto, al Comune e a tutte le istituzioni da cui vorrebbe essere ascoltata. «Vuoi andare a fare un giro di là? Io non te lo consiglio. Quelli sono ancora ubriachi da ieri sera. Poi ti rompono, alzano le mani. A me ormai no perché mi sono fatta capire, però se ti mostri debole hai finito di vivere».
Un giro “di là”, a vedere la palazzina D, lo abbiamo fatto comunque. Ed ecco quell’edificio da cui straripano immondizia, vecchi mobili e carcasse d’auto. Il Comune dice da anni di volerlo abbattere, perché sarebbe abusivo. Ma è complicato capire chi e cosa sia davvero “regolare” da queste parti. Tutti quelli con cui abbiamo parlato raccontano una storia diversa.
Un signore italiano ci accoglie nel piccolo cortile di casa sua. Sta lavorando sulle siepi insieme a Dimitri e Adrian (nomi di fantasia, nda), due rumeni che vivono in affitto due case più in là. I tre spiegano di conoscersi da anni e di essere amici. Gli stranieri in questa specie di ghetto sono tantissimi. «Il problema però è con quelli di là», ribadiscono con un cenno della testa, poggiati alle vanghe. Quindi «zingari, marocchini, brutta gente, violenta. Tutti abusivi». Che tanto “di là” non sono più, visto che a quanto pare le occupazioni stanno piano piano arrivando anche negli altri palazzi del serpentone. Una quotidianeità che risente anche di vere e proprie provocazioni. «Scavalcano ed entrano nei cortili per rubare l’acqua del rubinetto con le bacinelle. Perché loro l’allaccio non ce l’hanno – sottolineano – E poi rubano anche la frutta dagli alberi». «Lei si è mai trovato qualcuno nel giardino?», chiediamo al padrone di casa, che ride prendendo in mano una roncola. «Mai, e spero che non succeda, perché il giorno dopo finirei sui giornali».
Anche secondo loro fino a due anni fa la situazione era diversa. Poi sono arrivati «quelli di là» che hanno occupato le case vuote «e hanno iniziato a fare come gli pare e piace. Prima funzionava anche la piscina, c’era il ristorante all’entrata. Ora è tutto desolato e non importa a nessuno».
Salutiamo e continuiamo il nostro giro. Troviamo portoncini barricati da inferriate spesse svariati centimetri. Su un foglio scritto al computer un energico invito a tenerli chiusi 24 ore su 24. C’è un continuo via vai di automobili, berline lucenti e utilitarie datate, e occhi che passando ci osservano. Scende le scale una donna con una gonna lunga e capelli neri legati in una coda. Un bambino le trotterella accanto. Ci saluta e cammina fino ai secchioni in fondo al piazzale, dove lascia una busta nera, si sistema la gonna e se ne torna a casa.
Martina Zanchi
(foto: A.P.)