La Corte dei Conti ha armi spuntate per fare controlli sulle spese elettorali. La legge prevede che a dover rendicontare le stesse, allegando i documenti utili a giustificarle e a mostrarne la provenienza, siano solo le liste che hanno preso parte alle competizioni elettorali in centri con oltre 30mila abitanti. In pratica i giudici si devono così fidare di quanto viene dichiarato loro. Possono fare un controllo soltanto formale. E non possono mettere proprio il naso in tutte quelle spese fatte dai singoli candidati a sindaco o a consigliere. Con il risultato che spesso le verifiche vengono fatte su spese pari a zero o quasi. Anche quel minimo controllo sembra però risultare indigesto.
Le elezioni nei cinque Comuni ora “bacchettati” si sono svolte nel giugno scorso. A Roma, Nettuno e Marino hanno stravinto i grillini, con i sindaci Virginia Raggi, Angelo Casto e Carlo Colizza, a Latina i civici di Damiano Coletta e a Terracina i “fratelli d’Italia” di Nicola Procaccini. Tanto i vincitori quanto i vinti non si sarebbero però preoccupati in questi mesi di ottemperare a un obbligo di legge ed inviare ai giudici l’elenco delle spese sostenute dai vari partiti, movimenti, liste e gruppi di candidati, con la relativa documentazione di supporto. La Corte dei Conti ha specificato che “i consuntivi presentati risultano incompleti e carenti della documentazione giustificativa”. Disposta così, per ultimare gli accertamenti, una proroga di tre mesi e chiesto ai presidenti dei consigli comunali di far inviare alla Corte dei Conti del Lazio il materiale necessario alle verifiche. (C.P.)