Pare essere un malessere generale e diffuso quello che pervade le centinaia di richiedenti asilo presenti in città. Il 27 marzo scorso, nella centralissima Piazza Roma è andata in scena una protesta a tratti surreale con alcune decine di richiedenti asilo (alloggiati peraltro in un centro di un altro comune) che hanno protestato contro il cuoco della cooperativa che li ospita, un ex richiedente asilo come loro, per le sue limitate capacità culinarie. Raggiunta al telefono un’operatrice di quella cooperativa, che ha preferito rimanere anonima, c’è stata però descritta una situazione diversa. “Abbiamo cercato di inserire un addetto alla sala mensa che conoscesse i gusti e le usanze delle persone ospitate seppur debba attenersi ai cibi inseriti nella lista forniteci dalla prefettura e la cosa è stata concordata anche con i nostri ospiti”. Dietro quella protesta, insomma, ci potrebbe essere stato di più. Entrare nei centri d’accoglienza pontini, non è semplice. Sono sorvegliati, seppur aperti, e gli operatori delle cooperative non parlano volentieri con i giornalisti. Nel capoluogo tuttavia si è deciso di attuare la cosiddetta accoglienza a macchia di leopardo. Sono diversi, quindi, gli appartamenti in cui vivono 8-10 richiedenti asilo, che rimangono soli molte ore al giorno. E’ parlando con uno di loro che abbiamo capito, ancora una volta, la complessità della situazione. “Ci hanno raccontato una storia diversa quando siamo arrivati in Italia – ci ha detto un ragazzo di 25 anni giunto dalla Nigeria ormai 9 mesi fa e ancora in attesa che la sua domanda venga analizzata – ci avevano detto che avremmo presentato dei documenti, che avremmo trovato lavoro, che ci avrebbero aiutato. Invece siamo qui in un appartamento senza soldi, con due cambi di vestiti e senza che qualcuno ci dica cosa fare”. A innervosire molti dei richiedenti asilo sembra essere l’immobilismo con la protesta contro il cuoco apparsa più come un pretesto ma non solo. “Le differenze tra noi sono importanti – ci racconta ancora il ragazzo che dalla sua terra è scappato dopo aver frequentato una scuola che dovrebbe rappresentare l’alter ego del nostro istituto informatico – spesso ci ritroviamo fianco a fianco con etnie in lotta da secoli. Se a uno di loro viene assegnato un compito le proteste possono nascere”.Quella di Piazza Roma non è la prima protesta scoppiata tra i migranti che fino ad oggi avevano però deciso di protestare all’interno dei centri che li ospitano. “La situazione è sotto controllo ma delicata – ci racconta un’altra operatrice-. Stiamo comunque trattando con decine di persone che hanno usi e culture diverse dalle nostre e non sempre di un livello culturale alto anche se non mancano i laureati. A volte scelte che ci possono sembrare idonee sono in realtà sbagliate. Sembra assurdo ma è vero che alcune popolazioni ci mettono settimane solo per imparare a digerire la pasta, il loro non è un vezzo. Come è vero che alcune etnie non riescono a convivere tra loro”.Nel mezzo c’è un sistema ancora bloccato seppur le ultime regole varate dal governo sembrano aver velocizzato quantomeno le pratiche. Dal febbraio del 2017 un decreto legge ha riorganizzato l’assistenza puntando all’abbattimento dei tempi di riconoscimento del diritto d’asilo, ora due anni in media. A questo scopo il decreto prevede l’assunzione straordinaria di 250 specialisti (10,2 milioni di euro l’anno la spesa prevista) per rafforzare le commissioni di esame, la possibilità per i richiedenti di svolgere lavori di pubblica utilità «gratuiti e volontari» in progetti promossi dai prefetti d’intesa con i Comuni, la creazione di sezioni specializzate nell’asilo in 14 tribunali ordinari (Bari, Bologna, Brescia, Cagliari, Catania, Catanzaro, Firenze, Lecce, Milano, Palermo, Roma, Napoli, Torino e Venezia), il taglio dell’appello per i ricorsi contro il diniego dello status di rifugiato, che diventa ricorribile solo in Cassazione.
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