Ariccia: un dipinto inedito del Fernandi sarà presentato a Palazzo Chigi
Sabato 18 marzo 2017, ore 18,00, l’arch. Francesco Petrucci, uno dei massimi studiosi del Barocco romano, presenterà presso Palazzo Chigi in Ariccia, di cui è Conservatore, un raro dipinto inedito della produzione giovanile del pittore Francesco Fernandi detto “l’Imperiali” raffigurante l’Annuncio ai Pastori. L’opera rimarrà in mostra nel Museo del Barocco di Palazzo Chigi, ove si conservano altri 3 dipinti dell’Imperiali, per tre mesi. Il catalogo, distribuito in omaggio in occasione della presentazione, poi rimarrà in vendita presso il book-shop del palazzo. L’Imperiali ebbe un ruolo fondamentale nel processo di emancipazione della pittura romana dall’eredità barocca in direzione del Neoclassicismo, di cui fu un precursore, e nell’ambito del fenomeno di internazionalizzazione di quella scuola, che conobbe tra la fine del Seicento e la metà del secolo successivo il suo momento di massimo fulgore, favorito dal fenomeno del Grand Tour. Non a caso i suoi maggiori mecenati furono aristocratici britannici e gran parte delle sue opere da quadreria si trovano in collezioni scozzesi, inglesi ed estere o sono transitate sul mercato antiquario londinese. L’artista, che fu anche mediatore per acquisti di opere d’arte, nella commissione di disegni d’antichità e cicerone per viaggiatori d’oltralpe, ebbe numerosi allievi scozzesi e inglesi e il suo più famoso discepolo fu Pompeo Batoni, il più grande pittore del 700 romano, che introdusse presso la committenza britannica. Agente a Roma del collezionista di riproduzioni dall’antico Richard Topham, affidò a suoi allievi come Batoni e Camillo Paderni, a specialisti come Francesco Bartoli, copie di reperti e rinvenimenti dagli scavi. Fu esponente di punta del cosiddetto proto-neoclassicismo, in concomitanza con Agostino Masucci e Giacomo Zoboli, anticipando pittori delle generazioni successive come Placido Costanzi, Gaetano Lapis e lo stesso Batoni. Tra i suoi allievi l’artista-archeologo Camillo Paderni, William Hoare, William Mosman, James Russell, Alexander Clerk e il famoso pittore scozzese Allan Ramsay, che frequentò il suo studio nel 1736, prima di passare a Napoli a scuola dal Solimena.
I prezzi delle sue opere erano esorbitanti, determinando quasi un monopolio della ricca aristocrazia britannica, se si esclude il cardinale Giuseppe Renato Imperiali che fu suo massimo committente in Italia e da cui prese il soprannome. Rimangono quindi abbastanza sconcertanti le carenze bibliografiche che lo riguardano, risalenti sin dal ‘700, se l’artista fu ignorato persino da Lione Pascoli e Francesco Saverio Baldinucci, tanto che Waterhouse parlava di una sorta di “congiura del silenzio”. Probabilmente i rapporti commerciali con collezionisti stranieri, forse inerenti anche materiale archeologico, l’attività iniziale di pittore di genere, la disputa con l’Accademia di San Luca portata avanti nel 1723 assieme ad altri colleghi non accademici capeggiati da Michelangelo Cerruti per un riconoscimento della dignità professionale, sono tra le cause di un distacco dagli ambienti ufficiali. Non a caso il 12 settembre dello stesso anno venne respinta anche la sua ammissione nell’istituzione, alla quale non ebbe mai accesso.Non a caso si sono occupati di Imperiali storici dell’arte di ambito anglosassone, come Sir Ellis Waterhouse, Sir Timothy Clifford e soprattutto Anthony Morris Clark, lo studioso che ha riscoperto il 700 romano, in un articolo fondamentale che risale tuttavia al 1964. Il contributo di Petrucci, che viene pubblicato nella collana “Quaderni del Barocco” (editore De Luca), offre quindi un aggiornamento e un contributo rilevante alla conoscenza di un grande artista dimenticato. Lo storico Palazzo Principesco di Piazza di Corte si arricchisce così di un’altra preziosa opera d’arte molto importante del mondo culturale italiano e internazionale. L.S.
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