CONCORRENZA SULLA PELLE DEGLI OPERAI
La rapida espansione di questo settore porta con sé una serie di fenomeni che lo rendono difficile da inquadrare. Uno di questi sta proprio nei contratti che gli operai firmano al momento dell’assunzione. I lavoratori sono praticamente tutti inquadrati nelle cooperative, che vivono e prosperano in un regime legale a se stante: non solo possono regolare una serie di ambiti chiave della vita lavorativa tramite regolamenti interni (ad esempio la malattia, i termini di pagamento, i rinnovi dei contratti a tempo determinato), ma non c’è nemmeno un unico contratto di settore a cui fare riferimento per assumere gli operai. Quelli in uso sono due e uno (quello solitamente preferito durante le gare d’appalto) prevede un trattamento retributivo inferiore di circa 300-400 euro. Secondo la Cgil, che insieme a Cisl e Uil promuove l’altro tipo di contrattazione, si tratta di una sorta di concorrenza sleale interna di cui solitamente i lavoratori non sono consapevoli.
LA PREISTORIA SINDACALE
Seppure con colpevole ritardo, il lavoro che i sindacalisti stanno facendo nel nostro territorio è proprio quello di prendere contatto con gli operai per informarli che potrebbero ottenere condizioni contrattuali migliori. «Abbiamo fatto corsi di formazione organizzati dal sindacato, abbiamo imparato a leggere la busta paga e ora sappiamo quali sono i nostri diritti», spiega un operaio rumeno di una cooperativa che lavora a Santa Palomba. Ci racconta che era tra quei lavoratori che ormai più di due anni fa si sono messi in mezzo alla strada a fermare i camion, chiedendo condizioni lavorative migliori. Loro ci sono riusciti, ma tanti colleghi di altri stabilimenti ancora sono molto indietro. Ad esempio possono ancora essere lasciati a casa da un giorno all’altro, per mesi, senza lavorare e senza essere pagati. Si chiama “sospensione non retribuita”. «Spesso – spiega D’Andrea – per certe cooperative diventa un modo per mettere alle strette i lavoratori più battaglieri, e di solito ci riescono».
IL REFERENDUM
Uno dei due quesiti del referendum proposto dalla Cgil riguarda le gare d’appalto, e ha molto a che vedere con le cooperative di cui parliamo. «Quando cambiano gli appalti – spiega Stefano D’Andrea – non c’è nessuna clausola che imponga alla nuova cooperativa di assorbire gli operai già impiegati in quello stabilimento». In poche parole, oggi non esiste la cosiddetta clausola sociale, che eviterebbe che i lavoratori possano essere mandati a casa da un giorno all’altro. «Perché gli conviene assumere noi? – commenta un altro operaio – Perché siamo veloci, siamo abituati a quel tipo di mansione, gli faremmo risparmiare tempo e denaro». E allora perché non riprenderli? «Perché applicare la clausola sociale significa anche dover garantire lo stesso trattamento contrattuale», spiega con semplicità il sindacalista della Cgil. Insomma, alla fine non conviene. «Ma il referendum potrebbe cambiare le cose – aggiunge – peccato che nessuno ne parli».