Alla fine la legge è arrivata a chiedere il conto. Le venti lavoratrici ex Lsu e Appalti Storici che il 18 febbraio 2014, insieme a un collega uomo, hanno occupato la scuola elementare Trilussa (cioè il loro posto di lavoro), sono state condannate per occupazione di edificio pubblico, interruzione di pubblico servizio e, in tre casi, anche perché durante lo sgombero avrebbero minacciato le forze di polizia di atti di autolesionismo.
Il pubblico ministero del tribunale di Velletri Giovanni Taglialatela ha chiesto e ottenuto dal giudice Emiliano Picca una pena di 20 giorni di reclusione per diciotto di loro, tradotti in 3.750 euro di multa, mentre per le tre donne poi condannate anche per la minaccia di autolesionismo (le stesse che quel giorno si sono fatte refertare in pronto soccorso) la richiesta è stata di 4 mesi e due giorni di carcere, corrispondenti a una sanzione da 15.250 euro.
«Sapevamo che la denuncia è partita d’ufficio il giorno dello sgombero – racconta una delle lavoratrici coinvolte – ma non ci aspettavamo la durezza di questa decisione da parte del tribunale». Molti cittadini di Pomezia in quei giorni avevano solidarizzato con le occupanti, che conoscevano bene perché a scuola assistevano gli alunni ed effettuavano piccoli servizi di manutenzione. La mobilitazione degli ex Lsu e Appalti Storici, tra l’altro, aveva una portata nazionale: gli oltre 18mila lavoratori e lavoratrici di tutta Italia stavano cercando di attirare l’attenzione sulla terribile prospettiva dei licenziamenti e, nel migliore dei casi, di una forte decurtazione dello stipendio.
Per le condannate di Pomezia l’esecuzione della pena è stata sospesa, perché inferiore a due anni di detenzione, ma la fedina penale potrebbe restare sporca. «La maggior parte di noi cercherà di opporsi. Non vogliamo vivere con questa spada di Damocle che, nel caso in cui in futuro dovessimo avere altri problemi legali, potrebbe farci pagare il conto tutto insieme», spiega Carmen, una delle condannate alla sanzione più elevata.
«L’unico nostro reato – sostiene – è stato quello di proteggere i nostri diritti, il nostro (misero) posto di lavoro in un momento in cui per effetto della gara Consip stavamo perdendo oltre il 70% dell’impiego e del reddito». Quell’occupazione, spiega oggi a due anni di distanza, ma con i ricordi ancora vividi, è stato un gesto dettato dalla disperazione. «Ci siamo date un nome: i fantasmi della scuola. Perche spesso siamo state ignorate e messe in un angolo per non dover spiegare la nostra presenza. Ora siamo state anche giudicate come se fossimo comuni delinquenti. Non so come affrontare questa nuova condizione, che mi vede condannata in un corpo e in una mente fin troppo onesti».