«Il social network ha avvicinato tutti. Un fenomeno che prima poteva essere un fatto isolato oggi diventa pubblico, popolare sotto un certo punto di vista. Internet e i social hanno avvicinato le distanze e le persone e questo può dare l’idea che il fenomeno sia un aumento ma non credo. Il fatto che se ne parli è ovviamente un bene anche se l’importante è saper distinguere una situazione di semplice, non per sminuire ovviamente, violenza fisiologica o aggressività che si può riscontrare in un giovane nell’età della pubertà dal bullismo da quello che è ancora un aspetto prettamente criminale come la baby gang».
Ci spieghi meglio.
«Diciamo che il bullismo non nasce mai dal bullo ma quasi sempre da un’emarginazione che ne è alla base. Il bullo di solito ha un vissuto particolare alle spalle che può avere due evoluzioni: o questo giovane rivolge verso di sé la rabbia e la depressione a cui questa porta oppure diventa, in un certo senso, carnefice».
C’è un ambiente che può facilitare, in un certo senso, l’insorgere del bullismo?
«Si e no. Di certo il miglior ambiente per scongiurare l’insorgere del bullismo è la famiglia. E’ tra le mura domestiche che un genitore deve essere un buon educatore ma soprattutto dare un buon esempio di comportamento. I figli sono molto inclini all’emulazione, quindi occorre dare il buon esempio non solo educando ma anche comportandosi come si vorrebbe che i figli si comportassero».
Qual è il punto di demarcazione tra un atto di bullismo e una semplice scaramuccia tra ragazzini o una scazzottata?
«È netto non esistono zone grigie in questo caso. Una scaramuccia tra ragazzi, anche accesa, anche che finisce in scazzottata è tutt’altro rispetto a un episodio di bullismo che anche se singolo, isolato e non marcatamente feroce, è spiccatamente lesivo dell’aspetto morale. Spesso c’è anche il problema opposto, quello di considerare bullo chi bullo non è. Ricordo di quando, mesi fa, mi sono recato in una classe di Latina che mi era stata descritta come difficile per la presenza di un ragazzino problematico. Già molte cose non mi tornavano: prime tra tutte il fatto che il ragazzo agisse sempre da solo e solo all’interno della classe. Mi è bastato conoscerlo per capire che in realtà quello che avevo davanti non era un bullo ma una vittima. Aveva un lieve ritardo mentale e qualche difficoltà nell’espressione. Veniva continuamente deriso dai compagno e non essendo in grado di reagire come loro reagiva con le mani. In casi come questi una grande responsabilità l’hanno anche i giornalisti. Dovete essere in grado di andare a fondo alle questioni, analizzare il contesto, non fermarvi alla prima impressione».
Quanto può influire, sull’insorgenza di tale fenomeno, il fatto che gli adolescenti di oggi vivano sostanzialmente da adulti? Mi spiego meglio: vanno in discoteca, tornano a casa all’alba, vivono luoghi fino a dieci anni fa ad appannaggio esclusivo degli adulti, dove ovviamente si è a più stretto contatto con la micro e grande criminalità.
«Questo è un esempio plateale, perfetto. E’ vero che il giovane è precoce e tanto è vero che si è abbassata la forbice degli anni in cui si registrano casi di bullismo. Ma non è solo questo: anche i moderni giochi appaiono tutt’altro che educativi. Pensiamo alla moda del momento, ai Pokemon Go. Cosa li differenzia da una lotta tra cani? Il Pokemon soffre, si ferisce e muore per il divertimento del suo padrone. Per capire meglio ciò di cui stiamo parlando, tuttavia, io sono solito schematizzare la materia. Si parte dal disagio giovanile che può sfociare, come visto, in bullismo. Questo però può evolvere in un fenomeno criminale come quello delle baby gang perché il bullismo crea affiliazione. Questa se non viene fermata si trasforma in una vera e propria gang che può poi sfociare in criminalità organizzata. E se si analizzano questi passaggi non si può non notare come questi assomiglino molto alla storia della nostra città a partire dagli anni ottanta ad oggi. E’ per questo che il bullismo andrebbe affrontato con cura e attenzione, perché è come se si stesse combattendo una mafia con la “m” minuscola. Il campo in cui intervenire secondo me è poi quello della prevenzione mentre oggi, purtroppo, si concentrano ancora troppe risorse sulla repressione. Questa certo porta a risultati visibili, a numeri ma non risolve alla radice il problema e in questo modo continueremo a correre dietro ai buoi una volta che la stalla è rimasta aperta».
Cosa si sente di dire a un giovane vittima di bullismo o di atti di sopraffazione anche solo verbale, da parte di un coetaneo?
«Di parlare, di affidarsi ai genitori, agli insegnanti, alla polizia. Ma anche di stare attenti. Il caso di bullismo non nasce dal niente ma è l’epilogo di un percorso, spesso lungo fatto di prese in giro, velate minacce, anche solo occhiatacce. Quando scoppia l’episodio vuol dire che dietro ha avuto un lungo periodo di latenza. Non bisogna avere segreti, soprattutto con i propri punti di riferimento».