Basta attraversare una strada, nello specifico viale Kennedy, per ritrovarsi catapultati in una specie di universo parallelo. Un universo degradato, fatto di omertà, di box auto trasformati in stalle, di vedette umane sui balconi messi a guardia di non sa bene cosa. Un universo dove l’ha vinta il più forte e dove la legalità, lo Stato, sembrano non esistere.
Via Copenaghen, una strada secondaria accanto a quella che porta al cimitero, visitato ogni giorno da centinaia di persone. Una via secondaria, che passa alle spalle di alcuni palazzi popolari. Basta avvicinarsi per capire come qualcosa proprio non vada. Scritte sui muri, scheletri di motorino e altri ricambi semi nascosti tra le aiuole ma soprattutto la presenza fissa di giovani e donne alle finestre. Si potrebbe pensare a un quartiere degradato, con un alto tasso di disoccupazione. Un’ipotesi non troppo lontana dalla realtà. Peccato che ad affacciarsi alla finestra siano soprattutto appartenenti alla famiglia Di Silvio che la magistratura ha più volte ribadito essere un clan. Un’osservazione continua di quel lembo di terra che forse dovrebbe far porre qualche domanda visto che appare molto simile a quanto accade in quartieri diventati ormai famosi dell’hinterland napoletano, come quello di Scampia. Ma è il controllo di fatto del territorio che spaventa. Non è raro, accade quasi ogni giorno, vedere giovani appartenenti al clan intenti a lavare, sul marciapiede a pochi metri dall’androne del palazzo, un cavallo. L’animale viene utilizzato spesso per trainare un vecchio calesse e viene adagiato in stalle di fortuna costruite su suolo pubblico e a volte, pare , anche in uno dei box auto presenti alla base del palazzo. Nessuno pare però vedere tutto ciò o meglio tutti vedono ma nessuno prova anche solo minimamente a lamentarsi.
La paura è tanta, e la si sente addosso sulla pelle anche solo passeggiando sul marciapiede di questo quartiere, per nulla periferico eppure così lontano dalla città. Un non luogo che assomiglia più a un feudo come tanti ce ne sono nel capoluogo . La dimostrazione del fatto che l’inchiesta Don’touch, come ripetuto più volte dallo stesso questore De Matteis e dall’allora capo della squadra mobile Niglio dovesse rappresentare solo un punto di partenza.
Via Copenaghen, una strada secondaria accanto a quella che porta al cimitero, visitato ogni giorno da centinaia di persone. Una via secondaria, che passa alle spalle di alcuni palazzi popolari. Basta avvicinarsi per capire come qualcosa proprio non vada. Scritte sui muri, scheletri di motorino e altri ricambi semi nascosti tra le aiuole ma soprattutto la presenza fissa di giovani e donne alle finestre. Si potrebbe pensare a un quartiere degradato, con un alto tasso di disoccupazione. Un’ipotesi non troppo lontana dalla realtà. Peccato che ad affacciarsi alla finestra siano soprattutto appartenenti alla famiglia Di Silvio che la magistratura ha più volte ribadito essere un clan. Un’osservazione continua di quel lembo di terra che forse dovrebbe far porre qualche domanda visto che appare molto simile a quanto accade in quartieri diventati ormai famosi dell’hinterland napoletano, come quello di Scampia. Ma è il controllo di fatto del territorio che spaventa. Non è raro, accade quasi ogni giorno, vedere giovani appartenenti al clan intenti a lavare, sul marciapiede a pochi metri dall’androne del palazzo, un cavallo. L’animale viene utilizzato spesso per trainare un vecchio calesse e viene adagiato in stalle di fortuna costruite su suolo pubblico e a volte, pare , anche in uno dei box auto presenti alla base del palazzo. Nessuno pare però vedere tutto ciò o meglio tutti vedono ma nessuno prova anche solo minimamente a lamentarsi.
La paura è tanta, e la si sente addosso sulla pelle anche solo passeggiando sul marciapiede di questo quartiere, per nulla periferico eppure così lontano dalla città. Un non luogo che assomiglia più a un feudo come tanti ce ne sono nel capoluogo . La dimostrazione del fatto che l’inchiesta Don’touch, come ripetuto più volte dallo stesso questore De Matteis e dall’allora capo della squadra mobile Niglio dovesse rappresentare solo un punto di partenza.
01/09/2016